Partecipe, appassionata, della letteratura americana, Fernanda Pivano, morta a Milano, aveva anche un nomignolo di battaglia, a sottolineare il suo spirito battagliero di esploratrice: “la Nanda”. Definirla semplicemente americanista, sarebbe infatti riduttivo: a lei, alla sua curiosità, impegno personale e vitalità è legata la storia della fortuna in Italia di gran parte degli scrittori contemporanei americani.
Quando parlava di Ginsberg e Kerouac, li chiamava “i miei beat”; quando ricordava Hemingway e Pavese, li definiva “i miei maestri” e per lei avevano in comune “una integrità professionale e morale assoluta”; quando accennava ai tanti autori che aveva conosciuto diceva: “i miei eroi”. Per lei non erano soltanto pezzi di storia letteraria, ma frammenti della sua esistenza in cui si univano anni di vita e anni di studio, da pioniere, di lavoro e viaggi.
Attenta alle mutazioni della società e della cultura americana fu lei – traduttrice di Hemingway, Faulkner, Fitzgerald – a proporre in Italia la pubblicazione degli scrittori contemporanei più rappresentativi: dagli esponenti del movimento nero, come Wright ai protagonisti del dissenso non violento degli anni ‘60, Ginsberg, Kerouac, Burroghs, Ferlinghetti, Corso; fino agli autori “minimalisti”, prima Carver poi Leavitt, McInerney, Ellis. Figlia di un miliardario illuminato, Riccardo Pivano, che aveva una banca, e della bellissima Mary Smallwood, Fernanda Pivano è nata a Genova il 18 luglio del 1917. Il nonno era il fondatore della Berlitz School.
Dopo le elementari alla scuola svizzera e l’infanzia genovese nella casa sul mare, a 9 anni la Pivano si è trasferita a Torino, ha fatto il ginnasio con Primo Levi al liceo d’Azeglio, lo stesso di Gianni Agnelli, che non era in classe con lei ma faceva la sua stessa strada per andare a scuola. Si è laureata nel 1941 con una tesi su Moby Dick e due anni dopo ha tradotto l’Antologia di Spoon River di E.L.Masters. I suoi maestri sono stati Cesare Pavese e Nicola Abbagnano, con cui consegue una seconda laurea. Hemingway lo conosce nel 1948 a Cortina e traduce allora il suo Addio alle armi. Nel 2001 si è recata sulla tomba dello scrittore a Ketchum, nell’Idaho, in un viaggio che l’ha riportata nei luoghi della beat generation e dei suoi amici scrittori per il film documentario A farewell to beat di Luca Facchini.
Nel 1949 ha sposato Ettore Sottsass jr, autore delle foto più belle di tanti viaggi indimenticabili e incontri con gli scrittori beat Allen Ginsberg, Jack Kerouac e Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal Cassidy. Ciò che nella letteratura americana la attraeva di più, rispetto a quella europea, era la “vecchia, tradizionale differenza fra letteratura pragmatistica e letteratura accademica, fra i fatti della vita e una letteratura libresca basata su indagini psicologiche”.
Diceva: “Mi hanno attaccata per non aver mai valutato i libri, ma io mi sono limitata ad amarli, non a valutarli: questo lavoro lo lascio ai professori”. La bellezza e l’utilità dei volumi da lei tradotti erano spesso anche nelle lunghe e documentate introduzioni accompagnate da saggi biografici. Dall’osservazione della realtà americana sono nati saggi come: “America rossa e nera” (1964); “L’altra America negli anni Sessanta” (1971); “Beat Hippie Yippie” (1977); “C’era una volta un beat” (1976); “Il mito americano” (1980).
Suoi scritti sono raccolti anche in “La balena bianca e altri miti”1961); “Mostri degli anni Venti” (1976). Fu anche autrice di due romanzi “Cos’è più la virtù (1986) e “La mia kasbah” (1988). Nel 2005 aveva raccolto tutti i suoi testi di letteratura, più di 1.500 pagine, in “Pagine americane: narrativa e poesia 1943 – 2005” da Frassinelli e un anno fa erano arrivati in libreria i suoi “Diari 1917 – 1971”, prima parte della sua autobiografia (Bompiani).
Nel 1959 è uscito in Italia, con la prefazione della Pivano, Sulla strada (Mondadori) di Kerouac e nel 1964 Jukebox all’idrogeno di Ginsberg da lei curato e tradotto.
Nella miniera di storie e avventure della sua vita, gli incontri con Saul Bellow, Henry Miller, John Dos Passos, Ezra Pound, Gore Vidal, Jay McInerney, Judith Malina e il Living Theater ma anche gli italiani Giuseppe Ungaretti, Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo. Sterminata la sua bibliografia in cui figurano anche i libri della Pivano narratrice: Cos’è più la virtù (1986), La mia Kasbah (1988), I miei quadrifogli (2000), Un po’ di emozioni (2001).
Stava lavorando ad un’autobiografia in due volumi che uscirà nel 2008 per Bompiani. Diplomata al decimo anno di conservatorio, pianista, la Pivano era amica anche di molti musicisti: Bob Dylan, Lou Reed, Jovanotti e Fabrizio De Andrè che lei considerava enfaticamente e con affetto il più grande poeta italiano del secolo e al quale ha dedicato un testo che ha il titolo di una canzone del cantautore, La guerra di Piero, con interprete Judith Malina.
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