NEW YORK – “Siamo in Afghanistan e ci resteremo, ma non per sempre”. Lo ha sottolineato il ministro degli Esteri Franco Frattini, spiegando che la comunità internazionale si aspetta dal governo afghano risposte “concrete” e una “road map” per il contrasto della corruzione, del traffico di droga e per la formazione della polizia. Conversando con i giornalisti sull’aereo che da Roma lo ha portato a New York per la 64/esima Assemblea generale delle Nazioni Unite, il titolare della Farnesina ha affermato che l’Italia punta al G8 dei ministri degli Esteri che si terrà mercoledì a margine dei lavori dell’Onu e al vertice dei capi di Stato e di governo del G20 di Pittsburgh “per raccogliere un consenso di massima sulle proposte che Roma, presidente di turno del G8, farà e che dovranno essere l’ossatura, se condivise, della conferenza internazionale dei ministri degli Esteri a Kabul” che si sta lavorando per organizzare entro la fine dell’anno.
“Cominciamo a lavorare sulle cose concrete – ha affermato Frattini – a mettere nero su bianco che cosa ci aspettiamo dal governo afghano e che cosa possiamo offrire noi. Dobbiamo spiegare alle opinioni pubbliche dei nostri Paesi qual è la nuova strategia e come dovrà essere l’ossatura del patto per l’Afghanistan”. Il capo della diplomazia italiana ha osservato come il presidente Usa Barack Obama abbia chiarito “molto bene” che prima di decidere se inviare nuove truppe “bisogna capire quali sono gli obiettivi”: “E’ esattamente la nostra linea – ha commentato il ministro -. Ci sono Paesi che hanno contribuito assai poco o per nulla ma ancora prima di chiedere più soldati dobbiamo chiedere più obiettivi”.
E la sede per farlo potrebbe essere proprio la conferenza di Kabul, dove al nuovo presidente afghano – ha ribadito Frattini – verrebbe chiesto di stipulare “un contratto solenne” che indichi, attraverso una “road map”, modi e soprattutto tempi per il raggiungimento di tutta una serie di risultati concreti.
L’ADDIO DELL’ITALIA AI PARA’, COMMOZIONE AI FUNERALI
di Massimo Nestico’
Un intero Paese dentro una chiesa si inchina davanti ai sei para’ tornati da Kabul in una bara avvolta dal Tricolore. C’e’ il cittadino comune con la bandiera in mano, il presidente della Repubblica che si inchina, il premier visibilmente commosso, il ministro che rimpiange di aver ”mandato a morire” dei ragazzi, il piccolo figlio di una delle vittime che accarezza la foto del padre, ci sono tanti militari provati ed il rabbioso urlo ‘Folgore!’ che risuona nelle alte navate della Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma. La stessa che, sei anni fa, ospito’ le esequie per le vittime della strage di Nassiriya. E, durante i funerali solenni, c’e’ spazio anche per un fuori programma: un uomo che si impadronisce del microfono per gridare piu’ volte ”pace subito” prima dell’intervento dei carabinieri. La giornata del dolore inizia intorno alle 10, quando i feretri di Antonio Fortunato, Roberto Valente, Massimiliano Randino, Davide Ricchiuto, Giandomenico Pistonami e Matteo Mureddu – ognuno a bordo di un autocarro militare scoperto – lasciano il Celio, dove era stata allestita la camera ardente visitata da circa 10.000 persone.
Lungo il percorso sventolano le 2.500 bandiere sistemate dal Comune di Roma e quelle esposte dai balconi dai cittadini. Applausi, negozi chiusi in segno di rispetto, il caotico traffico romano che si blocca. Le salme fanno quindi l’ingresso nella basilica, portate a spalla dai compagni para’ e collocate davanti all’altare. Sopra ciascuna bara viene posta una foto del caduto. Davanti, un cuscino rosso con sopra il basco amaranto della Folgore. Nella chiesa attendono i familiari disposti ai lati dei feretri. Nelle file di destra ci sono le autorita’ politiche: il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, i presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, tutti i ministri. Tra di loro Umberto Bossi, che ”sente il dovere di dire” una cosa: ”li abbiamo mandati noi e sono tornati morti”. Scuro in volto, il senatur riconosce di aver votato a favore della missione in Afghanistan, ma ”eravamo convinti che servisse, non certo per vederli morire”. Piu’ indietro siedono tanti esponenti dell’opposizione, da Massimo D’Alema ad Antonio Di Pietro. La parte destra e’ invece dedicata ai militari, con in prima fila il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Presenti anche l’ambasciatore americano in Italia David Thorne e quello d’Israele, Gideon Mair. Tantissimi gli uomini in divisa, con una netta prevalenza di baschi amaranto, giovani ed anche anziani in congedo, arrivati da tutta Italia per rendere omaggio ai loro compagni. Non hanno voluto mancare i tre para’ e il maresciallo dell’Aeronautica rimasti feriti nell’attentato: dimessi appositamente dal Celio, alcuni con sul corpo i segni della terribile esplosione. Composto il dolore delle famiglie ed e’ ancora una volta un bambino – dopo il piccolo Simone, di due anni, che ieri a Ciampino aveva accolto il feretro del padre, il sergente maggiore Roberto Valente, con in testa il basco della Folgore – il simbolo della tenerezza e dell’orgoglio che vincono sullo strazio. Martin, sette anni, prima che iniziasse la funzione, si e’ avvicinato alla bara del padre, il capitano Antonio Fortunato, per carezzare la foto e la bandiera. Dopo quel gesto, che ha commosso molti, il bambino e’ tornato quasi di corsa tra le braccia della madre. In seguito, Martin, con in testa il basco amaranto, ha accompagnato verso l’altare, spingendo la sedia a rotelle, l’ex para’ Gianfranco Paglia – rimasto ferito in Somalia – che ha letto la Preghiera del Paracadutista e ha concluso ‘Grazie ragazzi’. Subito dopo, mentre risuonavano le note del Silenzio, il bimbo ha fatto il saluto militare portando una mano sulla fronte, mentre nell’altra teneva un fazzoletto.
Dalla chiesa si e’ levato il grido ”Folgore!”. C’era poi la madre di Pistonami con la foto del figlio stretta la petto ed il padre con indosso la divisa di Giandomenico. Le giovani vedove in nero. A sostenere tutti i parenti, le psicologhe dell’esercito. Nell’omelia, l’ordinario militare, monsignor Pelvi, ha ricordato una ad una le vittime, sottolineando che ”Dio suscita molti uomini eroici che dispensano pace e da slancio a vite spezzate dall’ingiustizia e dal peccato” ed ha difeso le missioni di pace. In precedenza aveva letto il messaggio di cordoglio inviato dal Papa che, ”profondamente addolorato per il tragico attentato”, ha invocato la Vergine ”affinche’ Iddio sostenga quanti si impegnano ogni giorno per costruire solidarieta’ e pace”. Quindi, durante lo scambio del segno della pace, l’imprevisto: un uomo si e’ portato verso l’altare prendendo in mano il microfono ed ha scandito a voce alta ”pace subito, pace subito”, tra l’imbarazzo generale, prima di essere preso in consegna dalle forze dell’ordine ed allontanato della chiesa.
L’uomo, Antonio C, di 56 anni, qualche anno fa fu protagonista di una irruzione sul palco del teatro Ariston durante il Festival di Sanremo. Un episodio che gli costo’ la denuncia per interruzione di pubblico servizio. Ora e’ stato trattenuto in una caserma dei carabinieri per accertamenti. Potrebbe essere denunciato con l’accusa di disturbo di una funzione religiosa. Dopo il breve intermezzo, la cerimonia e’ proseguita senza intoppi. Monsignor Pelvi ha benedetto le salme ed i feretri sono stati portati quindi fuori dalla basilica tra gli applausi della gente. Dalla folla anche qualche urlo all’uscita del premier: ”adesso ritirateli!” e ”quanti morti ancora?”. Il cielo grigio e’ stato poi attraversato dalle Frecce Tricolori che hanno lasciato in aria una croce rosso, bianco e verde, chiudendo il funerale. ”Non e’ stata – ha commentato il ministro La Russa nel sagrato della chiesa – una manifestazione preordinata o retorica, ma di affetto vero dell’Italia”.