C’è anche un italiano tra le diciassette vittime (38 sono i feriti) di un’azione terroristica che lo scorso 26 febbraio ha sconvolto il centro di Kabul. E’ Pietro Antonio Colazzo, che in un primo momento era stato identificato come un agente dell’Aise (il servizio segreto esterno), ma successivamente definito dal ministro degli Esteri Franco Frattini “un consigliere diplomatico della Presidenza del Consiglio che lavorava presso l’ambasciata italiana” nella capitale afgana. Le diverse fasi dell’attentato non sono ancora state chiarite ma di certo l’azione è iniziata verso le 6.30 del mattino (le tre in Italia) con l’esplosione di una autobomba davanti a un hotel. La città in quel momento era deserta, non solo per il venerdì di preghiera ma anche perché la giornata coincideva con le celebrazioni del Mulud, la ricorrenza della nascita del profeta Maometto. Un portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahed, ha rivendicato l’attacco, parlando di “otto dei nostri uomini” che hanno realizzato l’azione. Secondo le prime ricostruzioni della polizia afgana e dei corrispondenti di alcune testate giornalistiche internazionali, invece, il numero degli attentatori potrebbero essere inferiore. Tre di questi hanno attaccato la sede del Park Residence, un albergo molto frequentato da stranieri, nel quale si trovava anche il diplomatico italiano Colazzo. Presi di mira anche il Safi Landmark Hotel, l’Hamid Hotel e un centro commerciale, il Kabul City Center. Per circa due ore dopo le esplosioni delle bombe si sono sentiti a lungo colpi di arma da fuoco in tutta la zona. I talebani sarebbero entrati nel Park Residence lanciando granate e sparando con i kalashnikov, per poi cominciare a spostarsi facendo fuoco in ogni stanza. Secondo quanto riferito dal capo della polizia di Kabul, Abdul Rahmnan, il consigliere diplomatico italiano sarebbe stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre stava telefonando alla polizia: “Era un uomo coraggioso che ci ha dato informazioni preziose che hanno consentito agli agenti di trarre in salvo quattro altri italiani che erano con lui”, ha dichiarato il generale Rahmnan. Con l’uccisione di Pietro Antonio Colazzo sono 22 gli italiani morti negli ultimi cinque anni e mezzo in Afghanistan: perlopiù militari vittime di attentati, altri morti in incidenti e alcuni anche per malore. Il presidente del Senato, Renato Schifani, ha chiesto al governo di riferire al più presto sull’attentato a Kabul. In una nota il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, oltre a esprimere il dolore per la morte di “un fedele servitore dello Stato”, ha ribadito che “’l’Italia è impegnata in Afghanistan proprio per proteggere la popolazione civile dalla follia della violenza e dell’intolleranza, alla quale sentiamo il dovere di opporci”. Dello stesso tono le dichiarazioni del presidente del gruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri: “Riteniamo che si confermino le ragioni della nostra presenza in Afghanistan, una realtà che marcia con fatica verso la democrazia e la libertà. Exit strategy e quindi l’abbandono di quei territori alle minacce del terrorismo non sono una via praticabile”. Exit strategy di cui parla, invece, in maniera esplicita il presidente dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro: “Da tempo sosteniamo che in Afghanistan non ci sono più le condizioni iniziali per portare avanti una missione di pace, ma c’è una guerra guerreggiata, tra differenti fazioni, alla quale la nostra Costituzione vieta di partecipare. Per questo l’Idv – aggiunge Di Pietro – chiede il ritiro delle truppe italiane e la messa in sicurezza del nostro personale attraverso la pianificazione immediata di una exit strategy per portare a casa i nostri soldati”. Più sfumata la posizione del Pd, che con il suo segretario Pier Luigi Bersani propone un approfondimento della“riflessione strategica della presenza in Afghanistan”. “Bisogna vedere – ha spiegato Bersani – in quale misura noi otteniamo dei risultati in questa vicenda e quanto l’azione militare riesca ad innescare un’azione politica che coinvolga anche tutti i Paesi confinanti, che dia una prospettiva. E’chiaro che una presenza di pace e di lotta al terrorismo può comportare dei sacrifici, ma deve avere un senso di prospettiva. E questa, secondo me, forse manca un po’”.
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