I maggiori partiti stanno per concordare lievi modifiche alla legge elettorale che una volta veniva definita “una porcata”
La politica, si è sempre detto e saputo, è l’arte del possibile, ma la definizione andrebbe completata nel caso della politica italiana: oltre che l’arte del possibile, è anche l’arte dell’ipocrisia e se questa espressione non piace possiamo correggerla con l’arte della convenienza. In genere, di parte, cioè della propria parte politica.
Del resto, per capire che è così, basta dare uno sguardo alla legge elettorale in vigore e a quella che i partiti maggiori, dopo una fase di decantazione, si apprestano a concordare fra qualche settimana perché diventi legge comunque prima della fine della legislatura. Lasciamo da parte la proposta del Pdl del semipresidenzialismo alla francese: il testo è stato presentato al Senato e accolto con tanti no e qualche sì, anche se questi ultimi potrebbero essere molto più numerosi. L’impressione è che il Pdl sosterrà la riforma ma ne farà un cavallo di battaglia soprattutto nella prossima legislatura, ritenendola incapace, ora, di raccogliere la maggioranza qualificata dei voti. A questa proposta, recentemente, se ne è aggiunta un’altra, quella dell’ex presidente del Senato, Marcello Pera, il quale ha detto: prolunghiamo di un anno il mandato di Napolitano e nella primavera del 2013 oltre a Camera e Senato eleggiamo un’Assemblea costituente di 75 personalità che nel giro di un anno aggiornerà la Costituzione il cui nuovo testo sarà sottoposto a referendum. La proposta è ritenuta valida dal presidente della Repubblica, salvo che per quanto riguarda la proroga di un anno del suo mandato. Dunque, in attesa di riforme costituzionali più ampie e condivise, i partiti si limitano a fare riforme isolate e possibili, tra cui quella elettorale.
Ed è sul cambiamento delle legge elettorale che calza bene quanto abbiamo detto all’inizio sulla politica come arte della convenienza. Ricordate la legge Calderoli, quella attualmente in vigore e definita “una porcata”? Ebbene, quella che era definita “porcellum” e non solo, ma anche “legge-truffa”, legge antidemocratica, legge farsa, una “vergogna” e chi ne ha più ne metta, adesso viene ritenuta la migliore delle leggi possibili, guarda caso proprio da coloro che facevano acrobazie per additarla come “mostruosità giuridica e democratica”, fatta “su misura” per Berlusconi, anche se nella prima applicazione vinse Prodi e nella seconda Berlusconi, con la garanzia evidente dell’alternanza.
Ricapitoliamo brevemente i punti della legge: è di tipo proporzionale (chi ottiene anche un solo voto in più, governa), contiene un premio di maggioranza per la coalizione vincente (che fa scattare un premio di maggioranza fino al 55% dei seggi), in modo che è garantita la governabilità, contiene una soglia di sbarramento (8% come coalizione e 4% come singoli partiti) per evitare il numero dei partitini e quindi l’ingovernabilità. Tutti questi punti, l’abbiamo sempre detto, sono postivi, insieme ad un altro, il bipolarismo, cioè due schieramenti che si fronteggiano. Un solo punto è controverso: le liste sono bloccate, formate dalle segreteria dei partiti, e il fatto che non prevede preferenze, quindi si viene eletti in base all’ordine in lista. Si potrebbe dire che una volta c’erano le preferenze e furono abolite perché i candidati si mettevano d’accordo (voto di scambio) e veniva eletto chi aveva più soldi, ma niente: questa la legge negli ultimi anni, e fino a poco tempo fa, è stata definita “una vergogna”. I suoi detrattori erano il Pd e l’Idv, a cui negli ultimi due anni si è aggiunta anche l’Udc che nel 2005 fu uno dei partiti che l’approvarono, e che poi l’ha osteggiata relativamente al premio di maggioranza e alle preferenze.
Fatta questa rapida sintesi, passiamo alle novità, che sono le seguenti. Primo: la legge va benissimo al Pd così com’è, tanto è vero che Bersani ha detto (citiamo dal Corriere della Sera, 7.7): “Con le preferenze aumenterebbero le spese elettorali, si aprirebbe un varco pericoloso, ci sarebbe il rischio del malaffare e ci ritroveremmo con le inchieste della magistratura”. Insomma, prima voleva le preferenze e ora si è accorto che senza preferenze è meglio. Secondo: prima rifiutava il premio di maggioranza che garantiva il 55% alla coalizione vincente ed ora vuole un premio del 15%, a nostro avviso peggiorativo. Prendiamo le elezioni del 2008. Berlusconi, Bossi e Fini ottennero il 48% e balzarono al 55%. Ora, un’eventuale coalizione Pd-Udc prenderebbe al massimo il 30%, sarebbe cioè una coalizione minoritaria. Aggiungendo il 15% alla coalizione (come avviene ora) o al primo partito (come si sta discutendo) arriverebbe al 45%, con un rischio reale: la non maggioranza, nemmeno del 51%.
Abbiamo parlato della legge elettorale, perché su questa legge ci sono ampie convergenze, con pochi punti su cui non c’è ancora accordo: il Pd vuole il 15% di premio di maggioranza, il Pdl e l’Udc il 10%; qualcuno vuole il premio di maggioranza al partito più votato (Pdl e Udc) e qualcun altro alla coalizione (Pd). Le preferenze le vogliono il Pdl e l’Udc ma non le vuole (Bersani dixit) il Pd. Insomma, era meglio quando si stava peggio. Dopo averla additata come mostruosità giuridica, quella legge, di colpo, è diventata la migliore possibile, come noi abbiamo più volte osservato. Misteri della politica italiana o, meglio, della convenienza dei politici, i quali forse pensano, con questa legge che non darebbe la maggioranza a nessuno, di procedere dopo le elezioni, ad una grande coalizione imposta dalla necessità. Il che, tutto sommato, non sarebbe male.