Mentre i duemila leader della economia, della politica e della società mondiale dopo un biennio di attesa sono tornati a monopolizzare le headlines in occasione della 53° edizione del World Economic Forum ora in corso a Davos, l’ufficio studi della organizzazione ginevrina ha dato alle stampe l’atteso Global Risk Report 2023, fra le più autorevoli analisi socio-economiche sullo stato della congiuntura mondiale ed il primo ad arrivare ai media nell’anno in corso.
Esaminiamone brevemente i termini, le prospettive, e le incognite.
Le ripetute ed interdipendenti crisi che oggi inquietano la comunità internazionale hanno azzerato le ambizioni dello sviluppo economico globale e lo costringono a sopravviverne alle cause principali: costo della vita, criticità nell’ approvvigionamento alimentare ed energetico, estremizzazione del confronto socio-politico, rapido ed incontrollato proliferare di tecnologie a duplice utilizzo civile-militare, deflussi di capitali dai mercati emergenti, livelli insostenibili di debito, scarsi investimenti globali accompagnati da de-globalizzazione, e prospettive di crescita economica insufficienti, sono tutti elementi che distraggono la opinione pubblica dalle future, ulteriori minacce agli ecosistemi naturali, alla salute umana, alla sicurezza, ai diritti digitali, alla carenza di materie prime e risorse naturali.
Considerate nel loro insieme, si tratta di patologie che portano il mondo finanziario ed industriale a sentirsi incapace di consolidare prospettive di resilienza che mettano al riparo l’economia dai focolai delle nuove crisi “policentriche”, oltre che multiple, che emergeranno entro il 2030 ma che entro tale termine dovrebbero invece essere risolte.
Se è il costo della vita a dominare i rischi globali nei prossimi due anni, sarà invece il fallimento ambientale a preoccupare nel prossimo decennio, e questo ci porterà a sperimentare nuove crisi socio-ambientali, accentuate dalle instabilità geopolitiche ed economiche che già oggi si presentano all’orizzonte.
Quindi, sottolinea il report, anche in futuro i governi continueranno un pericoloso gioco di equilibri, da un lato, tra la protezione di un’ampia fascia di cittadini da una lunga crisi del costo della vita, senza incorporare l’inflazione, e la copertura dei costi di servizio del debito, mentre al medesimo tempo le entrate verranno messe in difficoltà dalla recessione finanziaria e da una transizione sempre più urgente verso nuovi sistemi energetici.
La nuova era economica che ne deriva, accentuerà la crescente divergenza tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Questo porterà al varo di politiche di bilancio che saranno utilizzate non solo in modo difensivo, per costruire l’autosufficienza e la sovranità dalle potenze rivali, ma anche in modo offensivo per limitare l’ascesa di campioni nazionali ostili.
Sinché la geopolitica prevarrà sull’economia, ricorda il WEF, sarà più probabile un aumento a lungo termine della produzione inefficiente e dei prezzi.
La tecnologia esaspererà le disuguaglianze, proseguono gli studiosi, mentre i rischi legati alla cybersicurezza dovrebbero confermarsi ancora fonte di costante preoccupazione.
Il settore tecnologico sarà uno dei bersagli principali di politiche industriali più severe e di un maggiore intervento statale.
Stimolata dagli aiuti di Stato e dalle spese militari, oltre che dagli investimenti privati, la ricerca e lo sviluppo di tecnologie emergenti inoltre continuerà a ritmo sostenuto nel prossimo decennio, producendo progressi specie nell’Intelligenza Artificiale-IA, nell’informatica e nelle biotecnologie, ovvero le scienze collegate al miglioramento della salute pubblica.
I disordini sociali e l’instabilità politica che ne deriveranno non saranno limitati ai mercati emergenti: la crescente frustrazione dei cittadini per la perdita di sviluppo umano e il calo della mobilità sociale, insieme al crescente divario di valori e di uguaglianza, verranno infatti a proporre una sfida esistenziale a gran parte dei sistemi politici mondiali.
L’elezione di leader meno centristi e la polarizzazione politica tra le superpotenze economiche specie nei prossimi due anni potrebbero quindi ulteriormente ridurre lo spazio a soluzioni concordi, e incrementare la frammentazione delle alleanze nazionali.
Per altro verso, con la contrazione dei finanziamenti del settore pubblico e le preoccupazioni in materia di sicurezza, la capacità di assorbire il prossimo shock globale si andrà a ridurre nei prossimi 10 anni, ed un numero minore di Paesi avrà lo spazio fiscale per investire nella crescita, nelle tecnologie verdi, nell’istruzione, nell’assistenza e nei sistemi sanitari.
Tuttavia, osservano gli studiosi interpellati dal WEF, c’è ancora uno spiraglio per dare forma a un futuro più stabile.
Affrontare l’erosione della fiducia nei processi multilaterali infatti migliorerà la capacità collettiva di prevenire e rispondere alle crisi transfrontaliere emergenti e rafforzerà le barriere di sicurezza per affrontare i rischi consolidati.
Inoltre, sfruttare l’interconnessione tra i rischi globali potrà avere un effetto moltiplicatore sulla preparazione generale per altri rischi correlati.
Questo perché il deterioramento delle prospettive economiche comporta compromessi più difficili per i governi che si trovano a dover affrontare problemi sociali, ambientali e di sicurezza.
Mentre gli investimenti nella resilienza dovranno concentrarsi su soluzioni che affrontino rischi multipli, come il finanziamento di misure di adattamento che portino benefici condivisi per la mitigazione al clima, od investimenti in aree che rafforzino il capitale umano e lo sviluppo.
Queste le principali incognite che i ricercatori internazionali interpellati dal WEF stanno discutendo, in cerca di soluzioni, nel corso dei loro incontri a Davos.
Le loro analisi, specie in prospettiva, al momento ancora non sembra prospettare intese economiche, pacifiche, e soprattutto condivise.
di Andreas Grandi