La Cina rivendica la sovranità sull’arcipelago di Senkaku, amministrato dal Giappone, e dichiara unilateralmente una “Zona aerea di difesa e identificazione” su un’area di mille miglia quadrate
Ora si capisce perché Obama ha spostato gl’interessi della politica estera americana dal Medio Oriente, dall’Asia centrale (Afghanistan) e dall’Europa verso il Pacifico. Ci sono ragioni ufficiali, come il fatto che il 60% dell’economia mondiale s’affaccia sul Pacifico; ci sono ragioni strategiche, come il fatto che la Cina stia diventando la seconda potenza mondiale e che in quell’area, appena verso Est, ci sono il Giappone e la Corea del Sud, tradizionali alleati degli Usa e che vanno protetti dalle mire dell’ingombrante dirimpettaia; e ci sono riserve energetiche. In quelle zone, cioè attorno alle isole che compongono l’arcipelago di Senkaku, completamente disabitato e sotto il controllo amministrativo del Giappone, sul fondo marino ci sono ingenti riserve petrolifere. Che, evidentemente, fanno gola a molti, soprattutto, a quanto pare, alla Cina.
Dell’arcipelago di Senkaku fino a qualche giorno fa nessuno conosceva l’esistenza, poi, di colpo, i lettori di giornali sono venuti a conoscenza del luogo dove si trovano, a chi appartengono e che cosa sta succedendo, che non è un buon presagio. La Cina, infatti, unilateralmente, ha istituito una “Zona aerea di difesa e di identificazione” su un’area di circa mille miglia quadrate, che va dalla parte meridionale del Mar Cinese a nord di Taiwan, fino a lambire il Sud del Giappone. Il problema è grave perché questa zona dichiarata unilateralmente di difesa aerea comprende anche l’arcipelago di Senkaku, che comunque non appartiene alla Cina. Negli anni scorsi ci sono state tensioni tra imbarcazioni e pescherecci, un po’ come tra Mazara del Vallo e la Tunisia, ma nulla di più. Quest’anno la Cina ha sorvolato la zona con aerei senza piloti provocando la reazione dei giapponesi. Ultimamente, appunto, l’annuncio cinese, che ha creato allarme in Giappone e negli Usa.
E’ di alcuni giorni fa il sorvolo di due bombardieri B-52 americani sulla zona in questione, in aperta sfida alla Cina, come per dire che la sovranità dell’arcipelago non le appartiene. Mercoledì della settimana scorsa anche aerei giapponesi e sudcoreani hanno sorvolato la regione, malgrado la Cina abbia minacciato di reagire militarmente alla violazione di quello spazio aereo, ma non l’ha fatto. Ha dichiarato, però, che molti aerei da caccia e da ricognitori sono stati spostati nella regione per intensificare le missioni di pattugliamento “come misura difensiva in linea con le abitudini internazionali”. E’ una minaccia aperta e nello stesso tempo un atto di prepotenza. L’escalation è evidente, anche perché mentre la dichiarazione ufficiale per la comunità internazionale è quella citata, quella ad uso interno, in cinese, è di tutt’altro tenore. Recita infatti la versione cinese: “Lo stato di allerta dei nostri aerei serve a rafforzare il monitoraggio sui bersagli nella zona di difesa aerea”. Insomma, per il popolo cinese sono gli altri a provocare. Ognuno, a questo punto, capisce che l’area del Pacifico sta diventando calda e lo diventerà sempre di più in futuro, dati i grandi interessi economici e strategici in gioco.
Domenica scorsa è iniziata la missione di Joe Bilden in Estremo Oriente. Il vice presidente americano ha iniziato il suo tour in Giappone e da lì è volato in Cina, quindi ha proseguito in Corea del Sud. La durata di una settimana del suo viaggio dice chiaramente che gli Usa sono preoccupati che la crisi diventi pericolosa. Per ora, è l’aspetto diplomatico che ha predominato, ma già l’ambasciatrice in Giappone, Caroline Kennedy, figlia del presidente assassinato a Dallas, ha parlato di “rischi enormi”. La domanda è se Joe Biden riuscirà a far rispettare lo status quo ante oppure se la Cina intende continuare a rivendicare la sovranità sull’intera area. Nel primo caso, evidentemente dovrà passare un po’ di tempo prima che la crisi sia superata. Nessuno vuole mostrare di cedere alle pretese dell’altro, la Cina, poi, si è spinta troppo in avanti per tornare indietro senza dare l’impressione di aver ceduto. Nel secondo caso, si andrà allo scontro diplomatico e militare, magari non subito: troppo grandi sono gl’interessi, troppo importante è, strategicamente parlando, tutta l’area del Pacifico, troppi steccati sono stati alzati nel corso della storia tra Cina e Giappone, tra Corea del Sud e Corea del Nord, tra quest’ultima e il Giappone, e soprattutto tutti questi Paesi, con gli odi arretrati che si ritrovano, sono troppo geograficamente vicini e troppo politicamente distanti per una convivenza pacifica che ovviamente tutti auspicano ma che nessuno si sforza davvero di raggiungere. In questa situazione basta un incidente aereo, magari voluto, far precipitare la situazione.