Arriva nelle sale l’adattamento del romanzo di Milena Agus
Fosse anche solo per la grandissima interpretazione della splendida Marion Cotillard perdersi una storia come quella raccontata in ‘Mal di pietre’, presentato all’ultimo Festival del Cinema di Cannes sarebbe davvero un peccato per gli amanti del genere. Una storia drammatica, raccontata senza scadere nel melo e indagando l’intimo dei personaggi in maniera da portare tutto ad un livello superiore rispetto al semplice racconto.
Adattamento del romanzo di Milena Agus, per la regia di Nicole Garcia che sposta la location dalla Sardegna al sud della Francia, il film si snoda intorno alle vicende (ritenute quanto meno inopportune per l’epoca) della giovane Gabrielle che incarna l’ardore, la passione e il desiderio di libertà delle donne degli anni Cinquanta. Giovane, bella, inquieta e ribelle, per la sua piccola comunità rappresenta un esempio scandaloso.
Alla ricerca dell’amore, quello affascinante ed emozionante dei libri, si invaghisce di un uomo sposato e fa della non corrispondenza di quest’ultimo un melodramma in piena regola. I genitori, piccoli proprietari terrieri con una reputazione da mantenere, si vedono costretti a prendere provvedimenti per arginare la ‘follia’ della figlia, fino a combinarle un matrimonio con un muratore spagnolo fuggito dalla guerra civile nel suo Paese per ritrovarsi a viverne un’altra, ben diversa, nel chiuso delle mura di casa sua. All’inizio tutto sembra funzionare, anche se senza troppa passione, ma ben presto il precario equilibrio si spezza e la fame di avventure diverse, di vita e di emozioni forti riprendono il sopravvento nella bella Gabrielle tanto da trasformare il suo mal di vivere in ‘mal di pietre’, ovvero calcoli renali. Costretta a passare del tempo in clinica per curarsi, la giovane realizza i suoi desideri più nascosti grazie all’incontro con un tenente dell’esercito gravemente ferito durante la guerra in Indocina. Ma una volta tornata a casa iniziano i tormenti e le attese che piano piano logoreranno Gabrielle, il marito e il loro già quasi inesistente rapporto.
Quella che poteva essere una banale storia di insoddisfazione personale di una donna costretta a vivere una vita non sua, diventa un racconto intimo ed affascinante grazie al modo in cui la regista trasmette il senso d’insoddisfazione e rabbia della protagonista: nel corpo e negli sguardi che la sublime interpretazione della Cotillard regala a Gabrielle si legge tutta la sofferenza interiore di una donna che negli anni Cinquanta insegue quella liberazione femminile che seguirà solo nel decennio successivo.
Delicato anche il modo di raccontare l’intima sofferenza del marito Josè (interpretato da Alex Brendemùhl), costretto ad osservare e subire il conflitto scatenatosi nella sua compagna; conflitto al quale non reagisce da marito geloso scegliendo piuttosto il ruolo di persona in grado di capire pur soffrendo. “Ora si parla d’amore in tutte le salse sui social e sui magazine. Nel libro questo amore è qualcosa di più concreto, la protagonista lo chiede addirittura a Dio. Ha un aspetto sessuale e anche sacro, mistico. Non ci sono però nessi con la Bovary che, rispetto a Gabrielle, è più malinconica, urbana, meno contadina.
Il destino di questa donna incarna per me la forma dell’immaginario, la potenza creatrice di cui noi tutti siamo capaci quando abbiamo grandi aspirazioni e i nostri sentimenti ci conducono all’estremità di noi stessi”, ha spiegato la regista Garcia commentando il personaggio chiave del suo film.