Aumentano le esplosioni a Tripoli e a Beirut provocate dalle opposte fazioni pro o contro Assad
Il Medio Oriente torna ad infiammarsi, e non è una metafora. Con la scoperta di 1300 vittime del gas nervino (ma secondo “Medici senza Frontiere” sarebbero molti di più), che i ribelli attribuiscono ai lealisti e questi ai ribelli, sta salendo la tensione internazionale, con la minaccia di raid e missili da parte Usa mirati contro depositi siriani. Per ora ha risposto l’Iran, benché la Russia non se ne starà certo in silenzio.
Ma la tensione si sposta in Libano, dove c’è stata una rappresaglia israeliana in risposta a quattro missili lanciati da una formazione qaidista contro lo Stato ebraico, e dove, nel nord del Paese, a Tripoli, ci sono state due potenti esplosioni che hanno fatto una strage con circa 50 vittime e 500 feriti più o meno gravi. A Tripoli una prima esplosione è stata la reazione alle autobombe esplose le scorse settimane nella banlieu sud di Beirut, roccaforte della milizia sciita. Il primo dei due ordigni è esploso accanto alla moschea al Taqwa nel quartiere di Zahiriye, durante la preghiera introdotta dal predicatore Salem al Rafei, sostenitore della ribellione contro il regime di Assad. Dunque, c’è lo zampino di Hezbollah, corso in aiuto del leader siriano al potere. La seconda esplosione con relativa strage è esplosa a poca distanza dall’abitazione di Ashraf Rifi, un ex capo della polizia odiato da Hezbollah e da altre fazioni filosiriane. Dunque, sono stati presi di mira i sunniti come qualche settimana fa erano stati presi di mira gli sciiti.
E’ evidente che il conflitto siriano si sta estendendo al Libano e la forza di pace Unifil, comandata dall’italiano Paolo Serra avrà molto da fare per evitare un conflitto generalizzato. Tripoli è una città a maggioranza sunnita. E’ qui che da due anni si concentrano le forze anti Assad, dai quartieri di questa città partono le formazioni volontarie a rafforzare i ribelli che si trovano in Siria a condurre la loro battaglia sul campo. Su Tripoli, dunque, sono piovute le reazioni di Hezbollah, esattamente come le bombe a Beirut erano una rappresaglia dei sunniti contro Hezbollah che aveva partecipato in massa all’assedio di Al Qusayr, precedentemente conquistata dai ribelli e poi liberata, appunto, con l’aiuto della partecipazione di Hezbollah, scesa in campo in massa a sostegno di Assad.
Per ora, dicevamo, gli attentati provenienti dall’una o dall’altra parte si concentrano nel Nord, a Beirut e a Tripoli, con le formazioni qaidiste che giocano a seminare confusione, ad esempio lanciando missili contro Israele per far ricadere la colpa su Hezbollah in modo da provocare la rappresaglia israeliana contro Hezbollah stesso. Così, dalla grande confusione può nascere un conflitto gigante dalle conseguenze molto pericolose.
Se, dunque, il conflitto si diffonde a sud, dove ci sono i soldati Onu di Unifil che dovrebbero impedire il rifornimento di armi a Hezbollah e che invece non ci riescono – visto che pare posseggano circa 40 mila missili – si capisce come da una parte la missione Onu sia servita a ben poco, dall’altra come ci siano pericoli per il contingente italiano (1100 uomini), presi tra due fuochi nel caso in cui Israele dovesse rispondere con una prova di forza.
Per ora non siamo ancora all’allerta generale, ma se le micce non saranno spente per tempo, non ci vuol molto a capire che potrebbe succedere il finimondo.