Martedì 12 aprile al parlamento repubblicano. Un primo grande passo di costruzione di un nuovo modello istituzionale per l’Italia
Il dado è tratto. Martedì 12 aprile dell’anno duemila sedici sarà ricordato in futuro come il giorno in cui il parlamento repubblicano ha approvato, in via definitiva, la nuova Carta costituzionale. Occorrerà, in autunno, il sigillo del popolo sovrano. Via, di fatto, il senato destinato a divenire, ridotto a cento rappresentanti, la camera degli interessi regionali e locali con la presenza dei sindaci delle maggiori città italiane. Via il Cnel ( Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), le provincie.
Una riforma che ha ridisegnato il corpo istituzionale della nazione. Certo, nonostante il voto finale alla camera sia stato onorato da un voto ampiamente maggioritario, non sono mancate le contestazioni e gli scanni vuoti di chi- praticamente l’insieme dell’opposizione di destra e sinistra- non ha partecipato al voto. Ciò non è bene.
E sarebbe sempre saggio cercare la condivisione su regole e istituzioni. E quando si tratta della costituzione cercare un accordo largo diventa un dovere. Ci si può dividere, anche con asprezza , sulle scelte di governo. Ma quando si cambia la Carta fondante della repubblica l’eredità di Padri e Madri costituenti dovrebbe illuminare la strada per un percorso meno accidentato e più sicuro.
Non è quindi un dettaglio aver spinto dall’inizio, anche per chi scrive, verso il dialogo e il confronto con l’insieme dei gruppi parlamentari.
Si è trattato, in definitiva, di costruire ponti pensando al futuro.
Superare il bicameralismo, che fu già un obiettivo delle forze progressiste costituenti nel lontano 1946, è stata una scelta giusta e coraggiosa.
Allo stesso tempo è importante, nell’oggi e per il futuro, farsi carico della governabilità e dell’alternanza tanto più se lo sguardo si allunga all’Europa nel travaglio di un momento tra i più drammatici della sua storia unitaria.
Chi scrive ha ragionato di un modello simile al Bundesrat della Germania Federale, con una profonda revisione dell’assetto regionalistico attuale. E fino all’ultimo mi sono speso per non limitare il perimetro della riforma alla sola maggioranza che sostiene il governo.
Ho indicato, assieme ad altri colleghi della sinistra democratica, la via per una legge elettorale meno squilibrata a favore di una futura maggioranza nelle elezioni politiche generali. Sono, come altri trecento dieci, un deputato del partito democratico.
Con critiche e riserve, ho espresso un voto a favore della riforma.
Partendo dalla consapevolezza che la bocciatura del testo nell’ultimo voto alla camera avrebbe segnato quasi certamente il fallimento di una stagione trentennale durante la quale, e a più riprese, si è cercato di riformare la parte ordinamentale della Carta.
Un simile epilogo avrebbe scavato un solco ancora più profondo tra l’opinione pubblica e le istituzioni.
Con la stessa lealtà auspico l’impegno politico del partito democratico, nei suoi massimi dirigenti, per ridurre le distanze che separano i sostenitori della riforma dai suoi oppositori.
Le critiche vanno sempre discusse. Mai insultate. È perciò importante che il Parlamento si impegni ad affrontare un pacchetto di misure capaci di offrire risposte efficaci nel quadro di tutele e garanzie, anche per quanto riguarda l’estesa comunità italiana nel mondo.
La Carta, prima del varo definitivo, sarà sottoposta, in autunno, al giudizio del popolo sovrano.
Voteremo anche noi, In Svizzera, in Europa e nel mondo, arricchiti dalle tante culture di governo che, soprattutto nell’Unione, fanno parte del nostro bagaglio politico e partecipativo. E saremo impegnati a difendere il sì, ragionato e senza trionfalismi, attraverso il confronto sul merito della riforma e spinti dal bisogno di completare una transizione aperta da troppo tempo
L’ultima tappa di un processo che deve trovarci pronti a costruire la cultura della responsabilità, del rispetto di ogni opposizione, della ricerca appassionata di un terreno condiviso sul fronte delle regole della democrazia.
La Costituzione della Repubblica è molto più di ciascuno di noi.
Su questo principio ho fondato le mie scelte e così farò in futuro per il bene della nazione e per difendere memoria, cultura e protagonismo dei cittadini italiani nel mondo.