Ringraziamo il console d’Italia a Basilea dr. Michele Camarota per la cortese lettera della scorsa settimana, con cui ha qui segnalato i buoni risultati conseguiti dal suo ufficio nel corso dell’anno appena trascorso. Confidiamo che gli altri consoli, attivi in Svizzera, vorranno, a loro volta, comunicare utili elementi informativi sul lavoro svolto nei rispettivi consolati. Ricordiamo che in Svizzera risiedono, secondo i dati Aire, circa 600 mila cittadini italiani mentre il flusso di nuovi arrivi sembra registrare un andamento in sensibile ascesa.
Intanto, registriamo con piacere le notizie provenienti dal consolato di Basilea, che segnano, ci sembra, una inversione di tendenza rispetto al passato. Sull’onda per altro del pur comprensibile entusiasmo per i risultati conseguiti, il Console si arrischia a parlare di un “nuovo record’”: Nel 2018, l’Ufficio di Basilea, nella cui circoscrizione risiedono, salvo nostro errore, circa cento mila cittadini italiani, ha infatti rilasciato o rinnovato 6559 passaporti, ossia trecento in più rispetto all’anno precedente. Si tratta, certo, di un risultato lusinghiero, ma ci permettiamo di osservare che, forse, non si tratta di un “record”.
Ci sono per altro alcuni punti, soltanto accennati nella lettera del Console, su cui ci piacerebbe avere notizie un po’ più precise. Ad esempio, perché era in vigore, fino a non molto tempo fa, l’assurdo obbligo della prenotazione notturna? È ancora in vigore, per caso, il meccanismo che impone di richiedere, nel cuore della notte, un appuntamento consolare?
Fra le altre cose, ci ha colpito però l’accenno fatto dal dr. Camarota al pagamento dei diritti di urgenza per chi richiede il rilascio a vista del passaporto. Ma a Zurigo, osserviamo noi, non esistono diritti di urgenza e i tempi di rilascio del passaporto sono normalmente brevissimi, senza neppure l’obbligo della prenotazione.
Sull’attività consolare a Basilea, ma anche, del resto, negli altri uffici consolari in Svizzera, compresa la cancelleria consolare di Berna – un’entità, quest’ultima, quasi invisibile – , noi abbiamo, è inutile nasconderlo, alcune riserve, su cui ci piacerebbe intavolare, ove possibile, uno scambio di valutazioni coi capi degli uffici interessati. Il nostro intento – ci teniamo a precisarlo – non è, naturalmente, quello degli scrutatori pelosi delle vicende altrui, bensì quello di chi vuole partecipare a un confronto costruttivo nell’interesse della collettività italiana qui residente.
Al centro del confronto dovrebbe stare, secondo noi, il tema della produttività del lavoro negli uffici consolari. E poiché in proposito il dr. Camarota, nella sua lettera, tiene a evidenziare particolarmente l’aumento dei livelli di produttività dell’ufficio di Basilea, vorremmo osservare che i dati forniti al riguardo, pur significativi, non sembrano giustificare la sua affermazione.
Per cogliere meglio i vari aspetti legati al tema della produttività, occorrerebbe, naturalmente, poter disporre di dati disaggregati, che tuttavia il console non fornisce.
Ci vediamo costretti, perciò, a condurre nel merito un esercizio necessariamente un po’ grossolano, sfruttando a tal fine i dati pubblicati nella pagina web del consolato generale di Zurigo, (che rimane, a nostro avviso, una pagina esemplare).
Procedendo per analogia, è possibile calcolare, attraverso semplici passaggi aritmetici, l’andamento della produttività (che è cosa diversa, è bene ricordarlo, dalla produzione) in un ufficio consolare medio, in questo caso, nell’Ufficio di Basilea.
A Basilea, sono attivi, nel settore passaporti, quattro impiegati (gli operatori del settore, forse, sono di più, o, forse, sono di meno, non lo sappiamo con certezza). I quattro addetti lavorano 225 giorni l’anno per 7 ore al giorno. Dividendo il numero dei passaporti (6559) emessi nel corso del 2018 per il numero dei giorni lavorativi (225) si ottiene il numero dei documenti di viaggio rilasciati, mediamente, ogni giorno, pari a circa 29. Se poi si divide questo numero per i quattro impiegati del settore, si scopre che ogni impiegato rilascia in media, durante le sette ore di lavoro, un passaporto ogni ora. Francamente, non ci sembra un gran risultato.
D’altra parte, la situazione di Basilea non è affatto un caso isolato, è anzi una situazione piuttosto comune agli uffici all’estero, e ci sembra perciò di non fare cosa inopportuna, se ci permettiamo di estendere il nostro ragionamento anche ai contesti più lontani e importanti e, in primo luogo, ai Consolati attivi nelle maggiori capitali estere – Londra, Buenos Aires, Parigi -, dove, notoriamente, maggiore è il disagio dei cittadini che richiedono un servizio consolare. Non esprimiamo, naturalmente, giudizi su realtà che non conosciamo, ma ci sembra nondimeno che le regole di calcolo sopra prospettate, per quanto elementari, possano forse offrire una indicazione, pur rozza e approssimativa, sui livelli di produttività degli uffici e sulla qualità, inoltre, dell’organizzazione del lavoro.
Naturalmente, saremo grati al console Camarota – il quale, sia detto di passata, è persona affabile e collaborativa – se vorrà correggere o confutare la nostra analisi, che non tiene conto, probabilmente, di numerosi aspetti di natura tecnica, normativa, procedurale e trascura, verosimilmente, le difficili condizioni di lavoro che si registrano negli uffici, spesso molto più stressanti di quanto non appaia a chi osserva le cose dall’esterno.
Sul tema della produttività del lavoro, sarebbe interessante sentire il parere dei consoli attivi in Svizzera, il cui contributo analitico potrebbe arricchire utilmente, noi pensiamo, la riflessione qui abbozzata.
Gerardo Petta