Parlando davanti all’assemblea della Confindustria, il premier, riferendosi agli scarsi poteri del presidente del Consiglio rispetto a quelli del Parlamento, aveva detto che le “assemblee pletoriche sono inutili”, alludendo all’eccessivo numero dei deputati e senatori. Il passaggio è stato immediatamente oggetto di accuse di bonapartismo e di “voglia di regime” da parte delle opposizioni, ma l’indomani quella riflessione che nei decenni scorsi in tanti hanno fatto pubblicamente si è tramutata in una dichiarazione impegnativa. Berlusconi ha affermato che intende raccogliere le firme sotto una legge di iniziativa popolare per ridurre il numero dei parlamentari. Visto che i parlamentari non andranno mai contro i loro interessi, cioè non voteranno mai una legge che ne riduce il numero, l’unica via, ha detto Berlusconi, è quella popolare. Se l’iniziativa di Berlusconi corrisponde ad un reale progetto politico è evidente che è una chiara ammissione di incapacità politica sua e della sua stessa ampia maggioranza di trovare un accordo con l’opposizione per approvare una legge utile al Paese (l’accordo con l’opposizione è d’obbligo trattandosi di una legge costituzionale e come tale bisognosa di un larghissimo consenso). Se, invece, si tratta di una proposta strumentale per contrastare gli attacchi delle opposizioni, allora è il frutto di una trovata tatticamente geniale, ma vuota di contenuti. Nel primo caso – è questo il ragionamento del premier – siccome l’opposizione è interessata solo ad attaccarmi e siccome nel 2006 la riduzione da 630 a 518 dei deputati e da 315 a 252 senatori fu “oscurata” dal dibattito prereferendario a tal punto che la riforma costituzionale fu bocciata, tanto vale ricorrere direttamente al popolo su un singolo tema. Nel secondo caso, bisogna riconoscere che con questa mossa il premier ha raggiunto due obiettivi. Il primo è che, data l’assenza pressoché totale di temi europei nella campagna elettorale, pur se si tratta di un tema di politica interna, quanto meno ha riportato il dibattito su un piano diverso che non quello dell’insulto e del pettegolezzo. Il secondo è che è uscito dall’angolo in cui lo avevano costretto i continui attacchi delle opposizioni ed ha ripreso l’iniziativa obbligando le opposizioni ad accusare il colpo. Noi ci auguriamo che il premier voglia davvero cambiare le cose, perché se fosse vera la tesi della strumentalità della proposta, allora ci sarebbe poco da stare allegri, perché vorrebbe dire che, tra insulti estremamente gravi a lui diretti (“fascista”, “nazista”, “corruttore”, e via di questo genere), litigi da primedonne tra le opposizioni e risposte demagogiche del premier, a perdere sarebbero la politica con la “P” maiuscola e il Paese. Per sciogliere l’enigma basta aspettare qualche mese.