Vittoria schiacciante della lega nazionale per la democrazia (lnD) alle elezioni suppletive in Birmania, che ha conquistato 44 seggi su 45
Il partito di Aung San Suu Kyi, alle elezioni suppletive del primo aprile, ha fatto cappotto, onquistando 44 dei 45 seggi dove si votava. Diciamo la verità, avremmo preferito che la vittoria fosse meno schiacciante, perché così rischia di interrompere il processo di pacificazione nazionale intrapreso dal presidente Thein Sein, ex generale, che mesi or sono si è reso autore di una svolta democratica, contrastata da ampia parte del governo e del partito dei militari. Il presidente Thein Sein, all’indomani della sua elezione l’anno scorso, disse no al progetto cinese di costruzione della diga di Myitsone in Birmania, che avrebbe danneggiato l’ambiente dell’intera area e avrebbe costretto a fuggire migliaia di contadini della regione. Questo segnò l’inizio di una politica nuova. Nel mese di dicembre Hillary Clinton andò in Birmania e promise aiuti economici in cambio di una svolta democratica. Evidentemente la vicina Cina, con le sue mire espansionistiche, non dava più garanzie alla Birmania, per quanto la giunta militare al potere fosse ideologicamente vicina alla Cina.
Da allora ci fu anche il via libera alla legittimazione delle liste dell’opposizione nelle elezioni suppletive di domenica scorsa. La Birmania, 54 milioni di abitanti, è un Paese povero, basti pensare che esistono intere aree dove non c’è né acqua corrente, né elettricità. È dunque una vittoria schiacciante quella della Lega nazionale per la democrazia (NLD) ed è comprensibile la festa del popolo nella capitale birmana e nelle altre città dove si è votato. Il premio Nobel per la Pace è stata eletta a Kawhmu, dove la gente è scesa nelle strade per festeggiare la vittoria. Abbiamo detto che le dimensioni della sconfitta del partito dei militari – che occupano tutte le istituzioni del Paese – potrebbe far irrigidire coloro che sono contrari al dialogo e dunque annullare la svolta democratica. Di questo sembra essere pienamente consapevole la stessa Aung San Suu Kyi, che ha invitato i suoi sostenitori e i militanti della Lega nazionale per la democrazia a “non fare nulla che possa scontentare l’altra parte”. Aung San Suu Kyi è una non violenta, a lei non interessa la vittoria in sé, ma solo una vittoria che sia anche superamento delle divisioni e l’inizio di un processo di democrazia, di sviluppo economico e di benessere per il popolo. Il Partito del Premio Nobel nel 1990 ottenne alle prime elezioni libere dopo anni di dittatura 392 seggi su 485, una maggioranza schiacciante, ma i militari annullarono le elezioni ed arrestarono La Signora, come viene chiamata Aung San Suu Kyi, che ha trascorso circa vent’anni in prigione o agli arresti domiciliari. I Paesi occidentali hanno tutti auspicato che i militari, che esprimono il governo fatto da civili ex militari, proseguano sulla via della pacificazione isolando i tentativi di riportare all’indietro le lancette dell’orologio della storia.