L’Europa segue l’Italia su Durban II. Il 5 marzo, letto il testo della Conferenza Onu sul razzismo in programma a Ginevra il 20 aprile, il ministro Frattini s’accorge che qualcosa non va.
Il testo è giudicato “aggressivo e antisemita”. In pratica comprende che ci si trova di fronte alla replica di Durban I, nel 2001, quando le organizzazioni non governative lanciarono un violento attacco contro la politica d’Israele. Allora sia Israele che gli Usa lasciarono i lavori, mentre l’Unione Europea respinse gli attacchi contro Israele provenienti dai Paesi arabi. Siccome la commissione Onu sui diritti umani è formata in maggioranza da Paesi in cui i diritti sono calpestati, ci si attendeva la replica di Durban I e così è stato, ma questa volta l’allarme è stato lanciato per tempo.
Insieme al Canada e ad Israele, l’Italia ha fatto sapere dieci giorni fa che avrebbe ritirato la delegazione se il testo fosse rimasto nella formulazione criticata, mentre Usa e Australia stavano valutando se ritirare anche loro la delegazione.
Dopo il passo dell’Italia, il nostro Paese è stato accusato di “troppa fretta” e c’è stato chi ha affermato che la posizione era giusta ma andava concordata con l’Europa. Cosa che è avvenuta la settimana scorsa, quando al vertice dei capi di Stato e di governo l’argomento è stato discusso. I ventisette hanno approvato un documento elaborato dall’Olanda e lo hanno mandato alla presidenza della Conferenza.
In sostanza, se il testo base della Conferenza sarà cambiato nel senso delle proposte dell’Europa, allora la partecipazione verrà garantita. In caso contrario i Paesi europei nella loro stragrande maggioranza non parteciperanno.
Nello stesso vertice europeo si è creata una differenza di vedute tra l’Europa e gli Usa in merito alle misure contro la crisi. Gli Usa vorrebbero che per facilitare la ripresa economica si incidesse sui tagli fiscali per accrescere i consumi, mentre l’Europa è molto più cauta. Prima vuole vedere gli effetti delle misure già prese e poi eventualmente allentare i cordoni della borsa.
L’Europa ha finora stanziato 400 miliardi di euro, destinando 5 miliardi per gasdotti e altri progetti energetici. Non solo: ha portato da 25 a 50 miliardi di euro la somma che va a finire nel fondo di emergenza per gli Stati fuori dall’area euro. Restano da approntare le misure per far fronte alla disoccupazione crescente e, dunque, formulare un “piano sociale europeo” per sostenere i lavoratori.
Gli Usa vorrebbero che l’Europa adottasse le stesse misure americane, ma i vari governi, come detto, vogliono verificare gli effetti delle misure già prese senza rischiare troppo.
In aprile ci sarà la visita di Obama in Europa, al G20 di Londra e alla Nato.
Il presidente degli Usa sarà accolto come l’uomo della speranza, per la carica di aspettative che circonda la sua persona, ma nello stesso tempo l’Europa teme che Obama voglia coinvolgere l’Europa in una visione che non le è congeniale.Abbiamo già parlato delle pressioni Usa sulla diminuzione fiscale per rilanciare i consumi e abbiamo già detto che i governi europei non sono convinti della ricetta americana, che non sembra aver avuto molti risultati oltre Oceano.
Ci sono anche le nuove regole per rendere “etico” il mondo della finanza. Paesi come l’Italia, la Francia e la Germania si stanno dando da fare per approvare un sistema maggiormente protettivo dal punto di vista giuridico, ma la cosa non sembra interessare tanto gli Usa.
Allo stesso modo c’è da tener conto dei Paesi ex Repubbliche baltiche che mal sopportano un accordo Usa-Russia, probabilmente ai loro danni.
Infatti sia l’Ucraina che la Georgia hanno dovuto loro malgrado accettare l’esclusione dalla Nato, che è il prezzo che gli Usa devono pagare per la ripresa delle relazioni con la Russia, giunte ad un punto critico dopo l’insistenza di Bush sullo scudo protettivo da installare in Polonia e in Ucraina. Insomma, la politica del multilateralismo è la via da seguire, ma comporta anche il rischio di scontentare parecchi.