In tutte le città brasiliane monta la protesta per gli sprechi riguardanti le opere faraoniche di Mondiali e Olimpiadi. “Più scuole e ospedali” le richieste del movimento brasiliano Passe Livre
Il Brasile è terra di calcio e samba; e il primo più del secondo scorre nel sangue dei brasiliani come il tè in quello degli inglesi, almeno così si soleva pensare fino a qualche settimana fa. Dopo aver visto milioni di manifestanti scendere in piazza con cartelli del tenore: “Vogliamo ospedali e non stadi”, “Un professore vale più di Neymar”, si capisce quanto un luogo comune possa ingannare.
Una giovane brasiliana, Carla Dauden, ha girato un breve video che sta facendo il giro del web e del mondo; in pochi minuti anticipa e spiega i motivi della protesta e perché il circo non basta più a distogliere dalla penuria di pane: “Mi chiamo Carla e vi racconto perché non vado ai Mondiali. Ditemi, come si fa a spendere oltre 30 miliardi di dollari per un evento sportivo in un paese dove l’analfabetismo colpisce in media il 10 per cento della popolazione e dove 13 milioni di persone soffrono la fame e molte altre muoiono aspettando di essere curate. Abbiamo bisogno di altri stadi?”
Questo video è stato girato prima della protesta, quando ancora tutti pensavano che l’opinione pubblica desse più peso alle parole di Ronaldo che ai ragionevoli quesiti della giovane regista. Oggi Ronaldo, il Fenomeno dei tempi andati, è invece costretto a difendersi e a lamentare di essere stato strumentalizzato, per le sue dichiarazioni di qualche anno fa: “I Mondiali si fanno con gli stadi, non con gli ospedali”. Non poteva certo immaginare, il Fenomeno, che la Confederations Cup di questi giorni sarebbe stata ribattezzata Manifestation Cup.
E come lui, nessuno aveva preconizzato che la B dei BRIC (Brasile, Russia, India, Cina, i paesi diventati le nuove locomotive economiche del globo), potesse avere una battuta d’arresto , e che il suo modello economico venisse messo sotto accusa durante e con il pretesto delle manifestazioni che avrebbero dovuto celebrarlo (mondiali di calcio e olimpiadi); un modello economico giudicato migliore degli altri tre, quello che coniugava immense materie prime con stabilità finanziaria e punte di eccellenza tecnologica.
In tutto questo mosaico vanno aggiunti due tasselli. Il primo è Blatter, il presidente della FIFA, simbolo dello spreco per i brasiliani che protestano. Blatter come molti politici predica che i Mondiali sono occasione di crescita e di sviluppo. Lo stadio Delle Alpi di Torino è stato demolito da poco, ma durante i mondiali di calcio in Italia (1990) lo si celebrava, discorrendo di crescita e sviluppo. A dar man forte a Ronaldo e Blatter, è sceso in campo Pelé. Sprezzante del ridicolo, Pelé ha girato un contro-video, indossando la maglia della selecao, in cui prega i brasiliani “di tifare la nazionale e dimenticare la confusione che si sta creando”. Confusione? Tifare nazionale? L’uomo immagine della FIFA si è confermato immagine di una FIFA lontana dalla vita reale. Col pallone, e ora anche nella vita, molto meglio Maradona.
Il secondo tassello di questo mosaico, porta il nome di Francesco. Arriverà a Rio de Janeiro il 22 luglio e vi rimarrà fino al 29. L’evento è noto: la Giornata mondiale della gioventù. E ci si chiede se le parole del papa saranno più vicine a quelle della giovane Carla Dauden o alle preghiere di un Pelé.
I brasiliani scesi in piazza ad oggi sono più di 15 milioni. Sono vitali e senza ideologie preconfezionate, con idee chiare e necessità precise, che traspaiono anche dal linguaggio semplice che campeggia negli slogan dei manifestanti, in cui chiedono giustizia sociale… E aceto (usato per alleviare gli effetti dei gas lacrimogeni). Un popolo vivo e ammirevole che fa dire agli inglesi: “In Brasile hanno il coraggio di lottare per i propri diritti, a differenza dell’Inghilterra”.
Cornelia Meier (traduzione di Antonio Ravi Monica)