Andrea Campagna, Andrea Santoro, Pierluigi Torregiani e Lino Sabbadin finalmente riposeranno in pace, come meritano. Loro sono le vittime riconosciute di Cesare Battisti e per le quali è stato condannato. Dopo circa 40 anni la fuga del criminale italiano è terminata in Sud America, in Bolivia, dove si era rifugiato per scappare alla cattura. Il cerchio si è stretto attorno al terrorista italiano già a metà dicembre, dopo l’entrata in scena dell’ultradestra di Jair Bolsonaro in Brasile. È allora che è iniziata l’ultima fuga del membro dei Pac. Ma è soprattutto grazie al lavoro di due uomini: Lamberto Giannini, capo dell’Antiterrorismo, e Nicolò D’Angelo, vicecapo della Polizia di Stato e direttore centrale della Polizia criminale e dei Servizi di cooperazione internazionale della Polizia. Il metodo utilizzato è quello ad ‘imbuto’ ovvero, si osservano i movimenti e le utenze e si incrociano i dati delle chiamate che si ricevano fino a restringere la ricerca verso quei numeri che risultano più frequenti. Le telefonate del terrorista verso l’Italia si sono intensificate così come quelle che riceve. Anche i movimenti cartacei sembrano suggerire qualcosa, Battisti fa in modo che la moglie e il figlio ancora minore possano avere accesso ai conti correnti. Tutto sembra suggerire che l’uomo possa preparare una nuova fuga. Un primo tentativo della polizia brasiliana va a vuoto, la casa di Cananeia del terrorista è vuota già da giorni, ma i controlli precedenti della polizia segnalano il terrorista nei dintorni del confine con la Bolivia. Ma è grazie ad un piccolo errore che Battista viene individuato. A metà dicembre, infatti, il suo cellulare si collega al wi-fi dell’aeroporto di Sinop, dove si imbarca per La Paz, capitale della Bolivia. È qui che il cerchio si stringe sempre di più attorno al terrorista e l’intelligence si attiva alla volta di La Paz non trovando alcun impedimento da parte della Bolivia. Anzi, la polizia boliviana segue le tracce del criminale con l’aiuto infaticabile dell’Antiterrorismo italiano e a Santa Cruz de la Sierra lo ferma. È così che si conclude la fuga di un terrorista italiano che da oltre 40 anni era riuscito ad evitare la giustizia grazie alla rete di protezione di cui ha goduto fino adesso. Finalmente giustizia sarà fatta. E non c’è vittoria politica in questo evento, si tratta della vittoria della Giustizia e basta. E, per dirla come Alberto Torregiani, figlio del gioielliere ucciso nel 1979 dai Pac in una sparatoria in cui lui stesso rimase ferito e perse l’uso delle gambe: “Forse davvero è una buona giornata”.
foto: Ansa