Ed eccoli lì i miei due nonni, che sorridono da una foto in bianco e nero di inizio Novecento. Gente di paese. Quale: non importa. Nei loro sguardi la fierezza di una vita di sacrifici da condividere. Una volta era così e basta. Lui lavorava sotto padrone. Nei fine settimana costruì pietra su pietra quella che sarebbe stata una casa per la vita. La loro. Poche stanze. Muri solidi. Un salotto, un camino, una grande camera da letto, una piccola cucina, un bagno dignitoso. E due stanzette. Piccole. Perché per i genitori i figli sono destinati a non crescere e non lasciare mai casa. Ma anche due cantine. Una per tenere la legna. L’altra per conservare quello che non si usa. La “roba”, come la chiamò Verga. Una volta era così. Le cose belle e preziose si tenevano da parte. L’importante era averle, non usarle, conservarle. Perché la vita è difficile e non si sa mai. A quei tempi i sacrifici erano la sola certezza della esistenza. I loro arredi consistevano in pochi mobili pesanti e consegnati dal falegname con gran fatica. Ricordo il mobiletto bar: una grossa bomboniera scura con due ante che si aprivano come le ali di un angelo. L’interno era rivestito da un mosaico di specchi. Riflettevano gli unici lussi: una bottiglia di anice e una di grappa. Entrambe aperte e consumate solo una volta. Un bicchiere soltanto. Poi conservate. Anche loro, come era giusto fosse. Ricordo i miei vecchi quando andavo a visitarli negli anni della prima infanzia. La nonna trascriveva le filastrocche che sentiva in televisione e me le raccontava. Tornavo da mia madre, certa di avere visitato un mondo fantastico ed irreale: il loro. Vennero a mancare l’uno dopo l’altra, quasi contemporaneamente. Come nelle favole, le favole di una volta. Erano giorni di piena estate. Ricchi di sole, caldo, silenzi. E di vacanze. La nuora prediletta fu la prima, anzi la sola, ad entrare nella loro casa. Laboriosa, trascorse un intero fine settimana a riordinare la casa dei due scomparsi. Così poi si giustificò. Al ritorno dalle ferie nessuno in famiglia mosse obiezioni. Ormai erano tutte inutili e tardive. Come una volta, si sperò che il rimprovero morale e il Destino avrebbero pareggiato i conti. La nuora laboriosa traslocò. Dicono abbia condotto una vita agiata. Nessuno seppe più nulla di lei. Sino a quando, pochi anni dopo, arrivò la notizia della sua scomparsa per un brutto male. Comunque, prima di trasferirsi riuscì anche a vendere la casa dei nonni. Il ricavato doveva essere diviso. In parti uguali. Da buoni parenti: perché era giusto così. Convocò un trovarobe, così lo chiamò lei, per sgomberare i mobili. La casa fu liberata in un pomeriggio. Il trovarobe non chiese compenso alcuno. Non lasciò neppure il suo indirizzo. Era inizio novembre. Oggi come allora, con l’arrivo delle lunghe e noiose giornate invernali anche queste vicende iniziarono lentamente a perdersi nei ricordi di una vita. In famiglia, levammo gli occhi al cielo: benvenuto autunno.
NL TOMEI