Grande fermento all’interno di maggioranza e opposizione per cercare di dare la paternità alle riforme. Si mosse per primo Calderoli che su invito di Napolitano si recò al Quirinale per offrire una bozza delle proposte della Lega. Quella bozza non era più che una bozza, ma si sa che gli animi sono esacerbati dopo le elezioni, sia a destra che a sinistra. Calderoli, infatti, precisò che quelle proposte erano una prima scrematura, ma che comunque sarebbe stato il capo del governo che avrebbe coordinato una proposta unica all’interno del centrodestra e che poi avrebbe sottoposto all’attenzione del centrosinistra. Sono passati appena pochi giorni e anche il centrosinistra si è recato al Quirinale per presentare le proprie proposte, ma intanto sono sorte polemiche a destra come a sinistra. A destra è riesplosa la polemica Berlusconi-Fini, a sinistra le differenze di vedute tra D’Alema e Franceschini.
Dopo la vittoria del centrodestra alle regionali – vittoria confermata anche al ballottaggio in varie città italiane – sembrava che la polemica si andasse svuotando di contenuti (“ha vinto lui”, ha detto Fini riferendosi a Berlusconi) e invece gli animi si sono esacerbati, al punto che Fini ha minacciato di creare dei gruppi parlamentari autonomi.
A questo punto Berlusconi ha fatto presente che un passo del genere sarebbe stato mettersi fuori dal Pdl e con la maggioranza divisa si sarebbe dovuto tornare alle urne.
Non sappiamo come andrà a finire la vicenda, sappiamo però che le strade dei due si sono divise irrimediabilmente.
Il premier ha anche detto che se Fini se ne andasse, la cosa sarebbe apprezzata e che comunque il presidente della Camera è derubricato a “dissenso interno”.
Siamo ai ferri corti, però la posizione di Fini non trova molto spazio: al massimo porterebbe con sé 20 deputati e 12 senatori, insufficienti per un gruppo autonomo.
La realtà è che Fini, che nel Msi e in Alleanza Nazionale ha fatto sempre quello che ha voluto, ora rimprovera il premier di fare tutto senza consultarsi.
Ma è sul merito delle questioni che le distanze sono notevoli. Ad esempio, Fini è per il semipresidenzialismo e per una nuova legge elettorale, cosa che fa storcere il naso a molti.
La legge attuale, è vero, non ammette preferenze, la lista è formata dai partiti, ma forse qualcuno si ricorderà gli “scambi” tra preferenze quando queste c’erano.
Non solo: forse qualcuno ricorderà che i candidati spendevano somme cospicue per essere eletti. Con il sistema di prima, poteva avere la maggioranza anche quella formazione che raccoglieva un numero inferiore di voti.
Quando cioè in una circoscrizione si scontrano due candidati, a vincere è la macchina più forte, ma ciò non vuol dire avere automaticamente più voti. Accadde già nel 1996.
Quindi Fini è visto come colui che vuole un sistema elettorale nuovo per far vincere gli avversari.
Infine, il cuore del problema. Fini contrasta Berlusconi perché in realtà ne vuole prendere il posto. Ciò è legittimo, ma si può fare alla fine della legislatura, non quando devi dimostrare di fare ciò per cui gli elettori ti hanno votato.
A soffiare sul distacco di Fini da Berlusconi è Massimo D’Alema, il quale non è che possa far valere grandi risultati, ma una cosa gli va riconosciuta: è bravo nel mettere gli avversari gli uni contro gli altri.
Lo fece con Bossi nel 1996 quando lo definì “una costola della sinistra”; lo fece con Mastella, complice Cossiga, quando nacque il governo D’Alema; lo ha fatto con Casini prima delle elezioni.
D’Alema, dunque, polemizzando con Franceschini, sta provando a stabilire un ponte tra Fini e il Pd. Franceschini, invece, dice che Fini “resta un avversario”.
Se D’Alema riuscisse a creare la frattura, tutto dipenderebbe dalla forza di Fini.
Lo seguirebbero in tanti? Berlusconi continuerebbe ad avere la maggioranza? Sono domande cruciali perché ne andrebbe della sopravvivenza della maggioranza stessa.
Ma le altre domande sono: è ipotizzabile che un gruppo di ex An trovi accoglienza a sinistra? O ancora: gli ex di An si sentirebbero a loro agio a sinistra dopo averla combattuta per decenni?
Come si vede, dietro la polemica di tipo personalistico ci sono più problemi che risposte. Una cosa è certa: spesso la politica cammina sulle gambe degli uomini e non sempre queste gambe portano idee nobili.
Si sa che la via delle riforme è spesso accidentata e il cammino attuale, accidentato lo è. Tutto sta, si dice, a partire, ma a volte si hanno dubbi che ciò possa avvenire col piede giusto.