Napolitano e Letta concordano un chiarimento parlamentare a partire da mercoledì 2 ottobre per verificare se il governo avrà una maggioranza. Il Pdl voterebbe il decreto per bloccare l’aumento dell’Iva, dell’Imu e la legge di Stabilità. Epifani: “No ad un governo con i transfughi, delle elezioni non abbiamo paura”
All’indomani delle dimissioni dei cinque ministri Pdl, Letta, di ritorno da New York, si è subito recato al Quirinale per concordare con il presidente della Repubblica un iter di soluzione della crisi, dicendo apertamente che intendeva seguire un “percorso lineare” di chiarificazione parlamentare alla luce del sole. Letta, comunque, aveva assicurato che lui non avrebbe mai fatto “il re Travicello”, cioè non sarebbe stato mai disposto a rifare un governo delle larghe intese che avrebbe avuto una durata di tre giorni. O un governo stabile con un programma chiaro almeno fino alla primavera del 2015, con “nessuno scambio tra le vicende giudiziarie e il sostegno all’Esecutivo, oppure avrebbe fatto un passo indietro. Napolitano e Letta, dunque, hanno concordato un voto parlamentare, anche perché nella giornata di domenica erano successi alcuni fatti politici molto importanti.
Il primo è stato un’accelerazione di Berlusconi verso la linea dura, con la richiesta ai cinque ministri Pdl di dimettersi, cosa che è avvenuta, anche se poi, subito dopo, c’è stata una coda polemica. In un primo tempo, infatti, erano stati solo Lorenzin e Quagliariello a prendere le distanze da una linea radicale, poi si sono aggiunti anche Lupi, Di Girolamo e lo stesso Alfano. Quest’ultimo, segretario del Pdl, ha affermato che se Forza Italia fosse nata sotto il segno dell’estremismo, lui sarebbe stato “diversamente berlusconiano”: una presa di distanza chiara e netta dai falchi del Pdl che, secondo un’opinione diffusa, erano stati all’origine dell’accelerazione di Berlusconi verso la crisi di governo. In realtà, con accenti diversi, anche tutti gli altri ministri hanno detto la stessa cosa. Lorenzin ha dichiarato che non avrebbe fatto parte di una Forza Italia radicale, Lupi ha detto la stessa cosa, solo Di Girolamo ha manifestato lealtà nei confronti del leader del Pdl ma ha chiaramente detto che non condivideva la linea. Ecco, di fronte a questa fronda Napolitano ha invitato Letta a “sospendere” la crisi. In fondo, ha pensato Napolitano, le dimissioni sono state date, ma non sono state irrevocabili e nemmeno accolte, quindi doveva essere ancora valutata la portata della “fronda”. Era possibile che in caso di rottura all’interno del Pdl si sarebbe potuto aprire un varco, tanto più che lo stesso Berlusconi aveva sì convocato i gruppi parlamentari per un approfondimento della questione per lunedì primo ottobre, ma aveva anche teso se non una mano almeno un dito quando si era affrettato a dichiarare che il Pdl avrebbe votato il decreto per bloccare l’aumento dell’Iva e la legge di Stabilità.
Occhi puntati, dunque, all’assemblea dei parlamentari Pdl di lunedì, che si è concluso con una doccia fredda e con una coda polemica, anche se ancora al momento in cui scriviamo non è dato sapere come stanno con esattezza le cose. La doccia fredda è che Berlusconi al termine dei lavori ha dichiarato “finita l’esperienza del governo” e che Letta aveva tempo sette giorni per bloccare l’Iva con un decreto, la seconda rata dell’Imu e per approvare la legge di Stabilità, insomma, i provvedimenti economici. Ha dichiarato anche che Forza Italia “non ha nulla di estremismo” e che tutto era chiarito nel Pdl, facendo capire che la fronda era rientrata. Ecco, questo punto è tutto da verificare, perché i telegiornali non hanno riportato altre dichiarazioni di altri leader o dei “frondisti”. E’ probabile – ma ripetiamo è ancora da verificare – che i distinguo permangono e che possano trasformarsi in una presa di posizione più forte e politicamente più importante.
Cosa abbia spinto il leader del Pdl a rompere è chiaro. La causa ufficiale è la sospensione dei provvedimenti economici nel consiglio dei ministri di venerdì, che automaticamente ha portato all’aumento dell’Iva dal 21 al 22% e quindi all’aumento di una tassa mentre detto aumento non era nel programma concordato. Quella reale è il timore dell’arresto e il rifiuto (vero o presunto) da parte di Napolitano di fare qualcosa per garantire la cosiddetta agibilità a Berlusconi, tanto più che il leader del Pdl ha detto che non voleva regali, ma solo che la legge Severino fosse sottoposta alla Corte Costituzionale per una interpretazione definitiva. Insomma, Berlusconi ha attribuito la crisi alla volontà del Pd di volersi liberare di lui.
Una cosa è certa: la mossa di Berlusconi è azzardata, se il governo continuerà ad essere operante in qualche modo, si ritroverà fuori dal governo, con un partito acciaccato e per di più probabilmente arrestato perché le conseguenze della condanna dovranno essere eseguite. Sarebbe per lui un harakiri. Se ci saranno le elezioni anticipate, formalmente non è ancora decaduto, dunque potrebbe parteciparvi, ma resta sempre il fatto che non ha futuro. Meglio avrebbe fatto ad accettare gli arresti domiciliari fino alla scadenza (luglio 2014), nel frattempo ci sarebbe stato un governo con il Pdl dentro e l’anno prossimo avrebbe riottenuta la libertà e, scontata la pena, avrebbe potuto chiedere la revisione del processo se in possesso di elementi a suo favore. La coda polemica che c’è stata lunedì sera è un fuori onda dove il leader del Pdl ha detto che gli avevano riferito che Napolitano aveva voluto sapere in anticipo l’esito della sentenza con cui Berlusconi fu condannato dalla Cassazione. Benzina sul fuoco. Tutto, dunque, può succedere.
Epifani ha detto “no a un governo con transfughi” e che il pd non teme le elezioni; Fassina che la data del 15 ottobre per la legge di Stabilità sarà rispettata. Grillo ha polemizzato con il Pd accusandolo di voler cambiare la legge elettorale dopo che per sei anni non l’ha voluto fare. Tutti, però, da Confindustria all’Osservatore Romano hanno condannato l’instabilità e l’”irresponsabilità” di una crisi di governo.