All’indomani del vertice Pdl del 20 agosto il documento politico programmatico in 5 punti, da votare in Parlamento verso la metà di settembre per una rinnovata fiducia di maggioranza, era stato accolto in modo complessivamente positivo dai finiani. Il presidente della Camera aveva aperto definendoli punti “di buone intenzioni”.
Il suo luogotenente più agguerrito, Italo Bocchino, aveva dato un “sì scontato al 95%”. Gli altri, a cominciare da Della Vedova, avevano rilevato da un lato che loro comunque facevano parte della maggioranza e che non intendevano “tradire” gli elettori, dall’altro che apprezzavano i toni moderati del premier. È vero che c’era stato chi in questo tono di flessibilità aveva scorto una trappola, ma tutto sommato era emerso che la ricucitura sarebbe stata possibile.
I cinque punti riguardavano e riguardano tuttora il fisco e la riduzione delle tasse, il federalismo e il completamento della riforma, il Mezzogiorno e la riorganizzazione delle risorse, la giustizia con il processo di ragionevole durata, lo scudo costituzionale e la riforma del Csm e infine la sicurezza e l’immigrazione. Ebbene, il deputato finiano Briguglio aveva messo in evidenza come il “processo breve” non era nel programma elettorale, ma Giuseppe Consolo lo aveva bloccato facendo notare che il premier non aveva parlato di “processo breve”, ma di “processo di ragionevole durata” e che il provvedimento era stato chiesto dall’Unione Europea per stoppare le tante infrazioni a carico dell’Italia, ma evidentemente tra il Pdl e la formazione finiana ormai i nervi sono scoperti.
Berlusconi, commentando i cinque punti per una rinnovata fiducia, aveva parlato di “prendere o lasciare”, cioè aveva posto il problema delle “condizioni minime” per riprendere il cammino della legislatura, ed è su questo punto che le polemiche sono esplose di nuovo.
Da parte dei finiani si è osservato che la logica del “prendere o lasciare” è “da mercato rionale”; da parte del Pdl, per ora, non sono state offerte altre esche per la polemica, ma il clima velenoso ormai è entrato nella maggioranza e difficilmente sarà spazzato via. Lo ha capito Bossi che guarda alle vicende del Pdl con nervosismo, ma anche con lungimiranza.
Da tempo ha capito che questo clima non porta da nessuna parte, se non al logoramento. Insomma, secondo Bossi, la resa dei conti sarebbe solo rinviata, non superata. Per cui, dice, è meglio andare alle urne il più presto possibile, meglio se a dicembre.
A convincerlo che non ci sono altre strade è stato il tentativo di Berlusconi di coinvolgere nella maggioranza anche Casini, il quale ha recentemente costituito il Partito della Nazione, con lo scopo di offrire una casa comune ai moderati e di traghettare il sistema politico verso una nuova fase. Casini, però, non vuole le elezioni, come non le vogliono né il Pd, impreparato e in piena polemica interna tra la componente cattolica e quella di estrazione comunista, e nemmeno i finiani, molti dei quali rifiutano di allearsi con il Pd.
Bossi, dunque, ha fiutato la mossa giusta: o rinnovata, seria e solida alleanza con i finiani da subito o presa d’atto che la maggioranza non esiste più e subito alle urne. Bossi sa benissimo che ogni rinvio porterebbe solo ad un ulteriore sfilacciamento del Pdl.
Nel Pdl, infatti, c’è un certo numero di deputati e senatori, circa una decina, che sono fedeli al premier, ma non al punto da non votare un nuovo esecutivo se questo trova la maggioranza in Parlamento. Ed è quello che sta tentando Casini, magari offrendo al Capo dello Stato una soluzione ragionevole per non andare alle urne, da tutti temute tranne che da Berlusconi, Bossi e Di Pietro. La soluzione ragionevole sarebbe quella di affidare a un uomo moderato come Beppe Pisanu il tentativo di raccogliere intorno a sé una maggioranza.
Ora, è vero che sulla carta Bossi e Berlusconi, se non hanno la maggioranza, hanno comunque la forza di contrastare un nuovo “ribaltone”, ma è vero anche che la situazione potrebbe evolvere contro i due alleati di centrodestra se le defezioni fossero tali da convincere anche i finiani a tentare di sbarazzarsi Berlusconi. Qualcuno potrebbe dire: siamo all’inverosimile, ed è vero, ma questo è lo spettacolo messo in movimento da un Fini che smaniava di logorare il premier con il contrappunto su ogni argomento per prenderne il posto con tutto il patrimonio elettorale che Berlusconi è riuscito a coagulare intorno a sé, e anche da un Berlusconi che probabilmente qualche mossa l’ha sbagliata anche lui quando ha pensato di sbarazzarsi a buon mercato di un avversario come Fini e seguaci lanciati nel “cupio dissolvi”, cioè nella sfida a distruggere una forza elettorale che sta naufragando sotto gli effetti delle polemiche personali.
È probabile che il clima di rottura abbia il sopravvento e che Berlusconi abbia deciso di cadere in piedi chiedendo la fiducia prima sul programma in Parlamento e subito dopo su singoli provvedimenti, in modo che se non l’ottiene la colpa della rottura di una maggioranza larghissima ricada su Fini. Il Parlamento riapre il 10 settembre, il 15 dovrebbe essere presentata una mozione di fiducia con dibattito: è a quel punto che i giochi si faranno più chiari e più seri.
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