Il leader del Pd apre ad un patto di governo con Monti dopo le elezioni ma in caso di pareggio al Senato anche il Cavaliere apre al Pd sulle riforme istituzionali
La coalizione del centrosinistra è ormai definita con lo zoccolo duro dell’alleanza imperniata sul Pd, sul Psi e su Sel, ma essa è ampliata da una serie di formazioni minori che non vogliono entrare nel Pd stesso ma che hanno la funzione di raccogliere voti dal bacino del partito di provenienza. Ad esempio, Donadi (ex Idv) e Tabacci (ex Api) hanno fondato un partitino che si chiama Centro democratico. Dell’alleanza torna a far parte Rutelli con la sua Api. Rutelli, tempo fa, era uscito dal Pd per avvicinarsi a Casini e a Fli, ma dopo il fallimento del cosiddetto terzo polo, non se l’è sentita di aderire all’agenda Monti ed è tornato alleato del Pd. La coalizione del centrosinistra comprende alcune decine di formazioni minori, esattamente come accade nel centrodestra.
Nella definizione delle liste e dei candidati non sono mancate le polemiche, che riguardano soprattutto la parte del leone fatta dalla maggioranza del Pd a discapito dell’area capeggiata da Renzi, che si sta di fatto dissolvendo. Renzi è stato l’antagonista di Bersani alle primarie per la premiership con il 38 per cento dei voti, ma dopo la sconfitta, come del resto aveva promesso, si è mostrato leale con il vincitore, il quale, però, anche per motivi di opportunità, lo ha in un certo senso discriminato. Per quale motivo? L’area di Renzi, quella che non viene dalla tradizione comunista, era la più esposta al salto verso Monti. Se gli eletti di quest’area fossero stati tanti, dopo le elezioni, in sede di alleanze, quest’area avrebbe potuto depotenziare la vittoria del Pd cedendo ai richiami della componente cattolica, più marcata nella lista Monti. Con ciò, però, il Pd rischia di alienarsi i voti di quest’area che aveva creduto in Renzi e nella possibilità di modernizzare il partito. Non è un caso che una nutrita squadra di parlamentari ed esponenti di spicco hanno aderito alla lista civica di Monti o si sono aggregati ad essa alla Camera attraverso la formazione di un loro partito, come è il caso di Linda Lanzillotta.
Il Pd, comunque, ha aperto le sue liste ad esponenti della cosiddetta società civile, a volte creando polemiche non senza una ragione. Ad esempio, l’ex presidente della Confindustria, Galli, ha accettato la candidatura nel Pd, ma si è trovato subito a disagio quando Vendola, con un’uscita infelice, ha dichiarato che i ricchi devono andare all’inferno. Si tratta comunque di polemiche senza seguito, anche perché sono normali quando si formano le liste.
Di carattere più politico quella aperta con Monti. All’inizio Bersani aveva detto chiaramente che Monti non sarà mai presidente del Consiglio (a meno che non ottenga un’improbabile maggioranza), poi ha polemizzato con lui accusandolo di favorire con la sua “salita” in politica l’avversario di centrodestra, Silvio Berlusconi. Negli ultimi giorni, di fronte alla rimonta del Cavaliere, ha dichiarato che l’ex premier è un “osso molto duro”, ed ha subito offerto, dopo le elezioni, la mano tesa a Monti, il quale l’ha raccolta qualche giorno dopo. Anche Berlusconi, alla trasmissione di Santoro, ha offerto a Bersani (non a Monti) la possibilità di un incontro sul terreno delle riforme istituzionali, inviando agli italiani un messaggio chiaro: non votate Monti, ma votate o centrodestra o centrosinistra, per evitare che il sistema politico italiano s’impantani in una sorta di palude del compromesso e del rinvio.
In ogni caso, a seguito della rimonta – o presunta tale – di Berlusconi e del centrodestra, Bersani ha cominciato a temere di nuovo di perdere voti a causa di Monti che non sembra decollare nei sondaggi ma che può comunque attrarre voti proprio dal Pd, pregiudicandone la vittoria, se non alla Camera, al Senato, dove il premio di maggioranza è regionale e dunque più pericoloso, specie in alcune regioni importanti come la Lombardia, la Campania e la Sicilia.
Nemmeno Monti ha potuto evitare le polemiche sulle liste. Al Senato la lista unica per Monti è più definita, con l’ingresso di cattolici e industriali, nonché con personalità come Pietro Ichino che le danno lustro e caratterizzazione, ma alla Camera, dove Udc, Fli e Italia Futura si presentano con simboli propri, seppure all’interno della stessa coalizione, la vecchia politica, basata sul compromesso, gli accomodamenti e gl’interessi di fazione, hanno preso il sopravvento. Mal di pancia, poi, sono esplosi mettendo insieme Binetti, cattolica doc e dogmatica con De Giorgi, omosessuale dichiarato e certamente favorevole ai diritti dei gay. Ma a parte situazioni di questo genere, che non sono poi così importanti, ciò che conta è che il Vaticano che in un primo momento si era affrettato a sostenere Monti, seppure in modo diplomatico, ora è diventato molto meno entusiasta. I motivi sono tanti. In primo luogo, la tendenza a puntare su una folta rappresentanza cattolica in tutti i partiti in modo da far valere la trasversalità di un orientamento; in secondo luogo, una buona parte della gerarchia è rimasta legata alle posizioni di centrodestra; in terzo luogo, la delusione derivante dal consenso di Monti che non è entusiasmante e dalla sua apertura ai diritti civili; in quarto luogo, i dubbi riguardanti gli uomini di Udc e di Fli che da una parte non si possono certo dire “nuovi”, dall’altra non sono dei campioni di coerenza e di affidabilità.
A meno che non succeda qualche sorpresa, Monti sembra essere colui che ha più da perdere da una rimonta del Cavaliere e da una campagna tanto vivace da invitare ad una scelta: destra o sinistra.