Il risultato delle primarie del Pd è inequivocabile: il nuovo Segretario è Pierluigi Bersani, ex ministro del governo Prodi, con oltre il 50% dei voti. I dati hanno confermato la scelta già fatta all’interno dei circoli, al più con qualche lieve modifica. Lo hanno incoronato circa 3 milioni di iscritti ed elettori del Pd, meno rispetto alle prime due prove (4 milioni per Prodi e 3 milioni e mezzo per Veltroni) ma più “veri”, sia nel numero che nel tipo di elezioni: le prime due di facciata, queste ultime reali.
Gli altri due candidati, a risultato già preannunciato da un terzo delle schede, hanno ammesso la sconfitta e si sono dichiarati disponibili al servizio del partito. Meno pesante quella di Marino, che ha visto aumentare il suo consenso, più dolorosa quella di Franceschini, che era stato nominato segretario a tempo e che tale è rimasto.
Con Bersani ha vinto la componente diessina, che ha presa sull’apparato del partito, ma ha vinto anche un uomo di sinistra, tenace e moderato. D’altra parte, data la storia, era l’esito più prevedibile e scontato e questo si è verificato.
Cosa significa Bersani? Lo ha cominciato a delineare lui stesso con la sua prima dichiarazione da leader: “Siamo il partito dell’alternativa più che dell’opposizione”. Bersani ha voglia di governo e di moderazione, farà il leader, come ha detto lui stesso, ma non sarà “un uomo solo, farà un collettivo”. Ha tutte le qualità, umane e politiche, per creare un partito di governo.
Pesano, tuttavia, sul futuro del Pd di Bersani, alcune incognite.
La prima è quella di voler mettere insieme tutta l’opposizione, dai comunisti di Rifondazione a Di Pietro, da Sinistra e libertà (nata dalla scissione da Rifondazione) all’Udc di Casini. In sostanza, vuole ricostruire la vecchia Unione che per due volte ha vinto le elezioni (1996 e 2006) ma per due volte ha fallito per contrasti interni di personalismi, di idee e di programmi. Sponsor di questa linea è Massimo D’Alema, inviso nel Pd a molti, in ogni caso alla componente di Franceschini, che lo ha definito un “reperto ottocentesco”, abile nei complotti.
Il dubbio che pesa su questa prospettiva è come farà Bersani, uomo che certamente non farà politica contra personam, non abituata cioè a demonizzare l’avversario, a tenere a bada uno come Di Pietro, che è più un cane rabbioso che un politico, o a far convivere in una stessa coalizione Udc e Rifondaroli.
La seconda incognita è cosa faranno, al di là delle dichiarazioni di facciata della prima ora, gli sponsor di Franceschini, una parte dei quali ha difficoltà a “morire socialisti” e nello stesso tempo a subire la longa manus di D’Alema.
L’elezione di Bersani, in base a quanto detto, probabilmente favorirà il disegno di Casini che è quello di costituire un centro più ampio, capace di allearsi con la destra o con la sinistra a seconda delle convenienze. E non è detto che ciò non possa accadere già alla fine di questa stessa legislatura.
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