L’uomo che il 3 agosto nella cappella dell’ospedale di Rho scrisse che di lì era passato l’omicida di Yara era un poveretto
Anche questa volta, come ormai sta accadendo da tre anni, le ricerche dell’assassino di Yara Gambirasio sono finite in un vicolo cieco. La speranza di dare un nome e un volto a chi commise questo atroce delitto si è risolta in una bolla di sapone, resistendo appena una decina di giorni.
Ecco la sequenza dei fatti. Il pomeriggio del 3 agosto il sacerdote della cappella dell’ospedale “Guido Salvini” di Rho, don Antonio Citterio, scopre una frase sul libro dei messaggi, una frase agghiacciante che dice: “Chiamate la polizia di Bergamo perché da qui è passato l’assassino di Yara Gambirasio. Che Dio mi perdoni”. La polizia accorre e si mette al lavoro. La notizia suscita speranze e timori. Speranze, perché finalmente c’è una possibilità concreta di arrivare all’assassino attraverso le telecamere del posto e di quelle collocate nei dintorni; timori, perché c’è il rischio che sia una falsa pista, come quella di un mitomane.
Qualche giorno dopo la polizia ha già visionato i filmati delle telecamere, ma l’autore della frase si fa vivo prima con una lettera ritrovata sotto lo zerbino della porta di casa del parroco, poi con una telefonata. Nella lettera, tre pagine, il messaggio centrale è: “Sono stato io a scrivere il messaggio sul libro delle preghiere in chiesa”. La firma è un nome, Mario. Nella telefonata alla portineria dell’ospedale dice: “Buongiorno, mi chiamo Mario, sono malato di cancro. Sono io l’autore del messaggio in chiesa su Yara. Volevo solo sapere se il cappellano ha ricevuto la mia lettera”. Solo che questa volta viene bloccato dagli agenti a Bergamo. Non si chiama Mario, ma Domenico De Simone, è un sessantenne di Cosenza residente a Bergamo, ex collaboratore di giustizia che ha detto di aver sentito parlare due donne al Pronto Soccorso di Rho di un braccialetto perso dalla tredicenne di Brembate. Il racconto dell’uomo era confuso e frutto di una mente non troppo sana, per cui il magistrato non ha nemmeno ritenuto di emettere, per pietà verso il soggetto, nessuna accusa.
Dunque, l’assassino di Yara è ritornato nel buio del mistero e, a quanto si possa immaginare, ci resterà per sempre, a meno che non succeda un miracolo. Si sa, infatti, che ad uccidere la ragazza fu il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, morto nel 1999. Di questo figlio illegittimo nessuno nella sua famiglia sapeva, solo lui e un suo amico, Vincenzo Bigoni, che ha confermato l’ipotesi degli inquirenti, i quali, confrontando il Dna ritrovato sul corpo della ragazza con quello di Giuseppe Guerinoni, hanno avuto la certezza che l’assassino doveva per forza essere stato un suo figlio. Siccome i due figli noti non possono essere stati, hanno ipotizzato, appunto, un figlio non noto e illegittimo.
Come trovarlo? Qui sono iniziati i problemi, perché non solo non si è trovato l’assassino, ma nemmeno sua madre. La gente e qualcuno che lavorava nell’orfanotrofio di Clusone ricorda che nel 1962-63 una giovane donna partorì un bambino, ma di lei e del bambino nessuno sa più nulla. Quell’orfanotrofio chiuse i battenti nel 1990, fu rinnovato e trasformato in una struttura di vacanza. Il guaio è che tutti i documenti sono andati distrutti e nessuna, a quanto sembra, delle ottanta persone anziane interpellate riesce a fornire dati utili.
Si possono solo avanzare delle ipotesi, che cioè la madre sia andata via dopo il parto portando con sé il bambino, che la madre sia morta alcuni anni fa e che il figlio sia stato registrato in qualche paese più lontano con il cognome della madre (sconosciuta), che il bambino sia stato adottato e che sia dunque difficile da ritrovare. Però, ci sono, seppure labili, un paio di punti fermi. Il primo è che l’assassino, per ammazzare Yara a Brembate, deve avere familiarità con quelle zone; il secondo è che in caso di adozione i genitori dovrebbero quanto meno avere un sospetto che il loro figlio adottivo possa essere, in base alla data di nascita, l’assassino di Yara. Ma a questo punto sorge un dubbio: e se anche i genitori adottivi fossero morti e non avessero parenti? Come si vede, le ipotesi possono essere tante e che si possa arrivare a lui in assenza di precisi indizi diventa estremamente difficile.
L’ultima speranza è che siccome non deve essere un tipo normale, siccome non può vivere completamente isolato e siccome deve avere un qualche amico o conoscente che possa aver notato qualche stranezza, qualcuno prima o poi si faccia avanti per aprire un’altra pista. Ma ognuno si rende conto che è come cercare un ago nel pagliaio.