Dimissioni del presidente Blaise Compaoré dopo le proteste
Il numero 2 della guardia presidenziale, il colonnello Isaac Zida, ha assunto il ruolo di capo dello Stato in Burkina Faso dopo le dimissioni del presidente Blaise Compaoré. “Assicurerò una transizione democratic” al Paese, ha affermato Zida. Il capo dell’esercito, il generale Honore Traore, che poco prima aveva fatto un analogo annuncio, ha dato il suo appoggio a Zida che ora quindi guiderà il Paese in questa fase di transizione.
Lo scorso martedì sono scoppiati scontri tra polizia e manifestanti a Ouagadougou, dove un milione di persone, secondo i dati forniti dall’opposizione, è sceso in piazza per protestare contro il progetto di riforma costituzionale che consentirebbe al presidente Blaise Compaoré di rimanere al potere. Gli agenti hanno usato gas lacrimogeni per disperdere decine di giovani che tentavano di bloccare la principale autostrada del paese e i manifestanti hanno risposto lanciando pietre. Sono stati esposti striscioni con su scritto “Blaise vattene” o “Non toccate l’articolo 37”, facendo riferimento al limite di mandato previsto dalla costituzione che il parlamento è chiamato a rivedere per consentire al presidente di candidarsi il prossimo anno. Compaoré è alla guida del Paese da 27 anni; arrivò al potere con un colpo di Stato, costato la vita al suo ex amico Thomas Sankara, uno dei leader africani più amati e rispettati. Da allora è stato rieletto quattro volte, a partire dal 1991, per due mandati di sette anni e due di cinque anni.
Lo scorso giovedì poi il caos totale nella capitale, la sede del Parlamento è andata a fuoco, dopo essere stata saccheggiata da centinaia di manifestanti, che poi hanno dato l’assalto anche al palazzo della televisione nazionale. Il Parlamento, giovedì era chiamato a discutere il progetto di riforma costituzionale che consentirebbe al presidente Blaise Compaoré di rimanere al potere. L’opposizione, infatti, teme che l’emendamento in discussione per rivedere i limiti di mandato fissati nel 2005 possa consentire a Compaoré di ricandidarsi non una sola volta, ma altre tre volte, pari ad altri 15 anni di potere. Sempre giovedì scorso l’esercito di Burkina Faso poi ha annunciato lo scioglimento del governo e dell’Assemblea nazionale, l’entrata in vigore di un coprifuoco, per “preservare la sicurezza delle persone e dei beni”, e l’istituzione di un organo di transizione. L’annuncio è arrivato durante una conferenza stampa. Il potere esecutivo e quello legislativo saranno assunti da un organo di transizione, con l’obiettivo di un ritorno all’ordine costituzionale “in un periodo di dodici mesi”, secondo un comunicato del capo di stato maggiore dell’esercito Nabéré Honoré Traoré, letto da un ufficiale durante una conferenza stampa.
Fonte: Afp
Reyhaneh è stata impiccata
“La campagna internazionale non è servita a niente”
La giovane Reyhaneh Jabbari è stata impiccata dopo essere stata condannata a morte per l’uccisione dell’uomo che aveva intenzione di stuprarla. Era stato stabilito che il giorno dell’esecuzione fosse il 30 settembre, ma un rinvio aveva fatto sperare in un atto di clemenza. Invece, la notizia dell’imminente esecuzione era arrivata il 24 ottobre, quando i genitori della ragazza erano stati convocati in carcere per vederla per l’ultima volta. Davanti al lavoro del boia erano presenti i genitori di Reyhaneh e il figlio della vittima. I media riportano che secondo fonti vicine alla famiglia, sarebbe stato proprio il giovane a togliere lo sgabello sul quale la ragazza poggiava i piedi. Solo il giorno prima, alla madre era stato permesso di visitare Reyhaneh per un’ora, e questo era stato considerato un segnale che l’impiccagione era imminente. La 26enne era poi stata trasferita in un altro carcere, dove all’alba di sabato 25 ottobre 2014 è stata impiccata. Reyhaneh era stata arrestata nel 2007 per l’omicidio di Morteza Abdolali Sarbandi, ex dipendente del ministero dell’Intelligence di Teheran. Aveva 19 anni. La ragazza ammise di aver accoltellato alle spalle l’uomo, ma per difendersi da un’aggressione sessuale.
Il relatore dell’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu aveva denunciato che il processo del 2009 era stato viziato da molte irregolarità e non aveva tenuto conto che si era trattato di legittima difesa di fronte a un tentativo di stupro. Il perdono della famiglia della vittima avrebbe salvato Reyhaneh dalla forca, ma il figlio dell’uomo ha chiesto che la ragazza negasse di aver subito un tentativo di stupro e lei si è sempre rifiutata di farlo. La campagna internazionale lanciata per salvare Reyhaneh, non ha sortito alcun effetto, come anche gli appelli che la madre, Sholeh Pakravan, aveva disperatamente affidato ad Aki-Adnkrons International. “L’ho abbracciata per l’ultima volta – diceva la donna nell’ultimo appello – intervenite al più presto, fate qualcosa per salvare la vita di mia figlia”.