Tra i parlamentari italiani si fa uso di droga? È difficile rispondere. In teoria basterebbe che gli onorevoli deputati e senatori si sottoponessero a un test antidroga e la risposta verrebbe da sé. Invece, non è così semplice.
Nel 2007 la Commissione Affari Costituzionali della Camera bocciò la proposta di legge presentata da Pier Ferdinando Casini, la quale prevedeva un test antidroga per tutti i parlamentari. Motivo della bocciatura: non si può obbligare nessuno a fare test che rientrano esclusivamente nella sfera delle libertà personali. Allora l’Udc – si era in pieno dibattito sul quantitativo lecito ad uso personale – organizzò in Piazza Montecitorio un laboratorio mobile per effettuare il test su base volontaria, ma l’esperimento fallì perché le adesioni furono pochissime. Nell’ottobre del 2009, sempre in occasioni di cicliche occasioni di cronaca, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, reiterò l’invito in maniera ufficiale.
Questa volta fu il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi, colui che con Gianfranco Fini firmò la legge sulla droga, a raccogliere l’appello organizzando, sempre su base volontaria, due tipi di test, quello sulle urine e quello sui capelli.
Tutti e due i tipi di test sono in grado di trovare tracce di varie droghe (cocaina, anfetamina, metanfetamine, marijuana, eroina) ma mentre il test sulle urine è in grado di scoprire tracce risalenti a poche ore o a pochi giorni, quello sui capelli le scopre anche se sono passati mesi dall’eventuale consumo.
Funziona così: è necessario prelevare almeno cento milligrammi di capelli nella zona nucale. Il capello non va strappato ma tagliato alla radice con forbici sterili. Le droghe si fissano nel bulbo pilifero e seguono il percorso del capello. Più è lungo il capello, oltre gli otto centimetri, e più si può risalire oltre un determinato periodo che può essere anche più di sei mesi. Questa precisazione è dovuta al fatto che se una persona al test tricologico è risultata positiva, cioè ha fatto uso di droga, non significa che continua a farne uso.
Ritornando al test organizzato da Giovanardi, a presentarsi sono stati solo 232 tra deputati e senatori su 950, appena un quarto del totale.
Che dire? Un parlamentare dovrebbe essere un cittadino esemplare, quindi dovrebbe allontanare da sé ogni sospetto di uso di sostanze stupefacenti, quindi, anche se il test è su base volontaria, si dovrebbe sentire la responsabilità e la trasparenza dell’atto, invece non è stato così.
Una precisazione: sottoporsi al test non significava autorizzare la pubblicazione del risultato, che sarebbe comunque rimasto anonimo. Il test, infatti, non è nominativo, ma è identificabile solo attraverso un numero di codice posseduto solo dall’interessato.
Dei 232 parlamentari che si sono sottoposti al test, solo 147 avevano dato l’autorizzazione a pubblicare il risultato, che è stato negativo per tutti e 147. Dei 232, tuttavia, solo uno è risultato positivo alla cocaina, ma non si sa chi sia. Può darsi anche che l’interessato non sappia nemmeno di essere lui o lei, perché sono 56 coloro che non sono andati a ritirarlo.