Le aziende elettriche che sfruttano i fiumi svizzeri per la produzione di corrente nei prossimi tre anni verseranno 30 franchi a chilowatt in meno. Dure critiche da Cantoni e comuni di montagna
La Svizzera con il suo patrimonio d’acqua è un giacimento d’oro per i produttori di corrente, ma i tempi con utili da capogiro sono finiti o almeno per una parte dei producenti. Il Consiglio federale ha deciso di venire incontro a chi è in difficoltà e ha presentato un progetto per ridurre le aliquote massime dei canoni d’acqua per i prossimi tre anni. Una boccata d’ossigeno per le aziende elettriche che pagheranno 150 milioni di franchi in meno ai Cantoni e comuni per lo sfruttamento delle acque pubbliche. Una tassa che esiste dal 1918 e dagli 8.16 franchi al chilowatt è salita fino ai 110 franchi del 2015, che generano 556.6 milioni l’anno che le aziende versano agli enti pubblici. La nuova misura transitoria proposta dal Governo abbasserà temporaneamente l’aliquota di 30 franchi al kilowatt tra il 2020 e il 2022. Dure le critiche dei Cantoni e comuni, soprattutto alpini, che temono per queste fonti di entrate lucrative, alcuni comuni addirittura per la loro esistenza, poiché per alcuni la quota delle entrate del canone d’acqua corrisponde al 40%.
Negli ultimi anni i prezzi dell’energia idraulica sono massicciamente scesi e i gruppi industriali come Alpiq o Axpo volevano ridurre i canoni d’acqua destinati ai comuni di montagna di due terzi. Tra le parti non c’è stata alcuna intensa e il Consiglio federale ha così deciso di intervenire e di venire incontro alle aziende. La ministra dell’energia, Doris Leuthard, ha spiegato i motivi della nuova misura: “Le entrate fisse per i comuni devono rimanere, ma serve un elemento sul mercato che reagisca ai prezzi oscillanti”. Un aiuto alle aziende perché l’energia idraulica possa rimanere competitiva in momenti difficili per chi produce energia idraulica. “I gruppi industriali devono continuare a investire nell’energia idraulica perché nel mercato, che ha grandi capacità di serbatoio, il loro ruolo è fondamentale” ha aggiunto Leuthard, spiegando che i prezzi della corrente per i consumatori dovrebbero stabilizzarsi o anche scendere. Si tratta di un esercizio di equilibrismo per garantire entrate agli enti pubblici e la sopravvivenza delle centrali idroelettriche. Che cosa avverrà dal 2023 non è ancora chiaro. L’idea è di sostituire l’attuale regime con un modello flessibile e un’aliquota massima l’anno. Questa sarà composta da un prezzo base di 50 franchi per chilowatt da versare agli enti pubblici e dall’altra parte una variabile da adattare al prezzo del mercato. Per l’Associazione delle aziende elettriche svizzere (AES) “la proposta del Consiglio federale va nella giusta direzione” e giudica indispensabile un modello flessibile a lungo termine, come ha dichiarato il direttore AES Michael Frank. Si prenderebbero due piccioni con una fava: difendere gli interessi sia delle regioni sia dei produttori.
La proposta governativa è invece inaccettabile per le regioni di montagna che fino al 2022 perderanno un quarto delle loro entrate e in particolare colpirà il Vallese e i Grigioni che incassano 164 milioni rispettivamente 124 milioni dai canoni d’acqua. Mario Cavigelli, grigionese e presidente della Conferenza direttori cantonali dell’energia è insoddisfatto del progetto: “Combatteremo per mantenere i canoni d’acqua sul livello attuale”. La fase transitoria deve essere un miglioramento per tutto il sistema, ma le nuove misure hanno dei difetti, perché avvantaggiano solo le aziende grandi dell’altopiano e le perdite vanno a carico dei cantoni e comuni alpini. “È una direzione politica non desiderata”, ha spiegato i motivi delle critiche Cavigelli. Se le aziende ricevono una sicurezza, per le regioni di montagna sarà difficile fare un piano finanziario e nel 2023 dovranno trovare fonti alternative di entrate per sopperire agli esigui canoni d’acqua, che per oltre 100 anni sono stati fonte sicura di entrate.
Gaetano Scopelliti