Dichiarato lo stato di emergenza per almeno un mese e il coprifuoco in tutto il Paese dalle 19 alle 6 ma le carneficine, anche nelle moschee, si moltiplicano
L’Egitto è di nuovo nel caos. Questa volta, però, la situazione si presenta ancora più grave di due anni fa, quando il regime di Mubarack cadde sotto l’incalzare della repressione dei manifestanti (circa 800 morti) e della pressione internazionale. Allora la piazza reclamava la “primavera araba”, cioè libertà e benessere, che il regime non assicurava, ora è scontro aperto tra coloro che allora vinsero. Ma come si è arrivato a questa situazione che nessuno sa come andrà a finire?
L’anno scorso, alle elezioni presidenziali, vinse Mohammed Morsi, leader dei Fratelli Musulmani. L’investitura avvenne con circa una settimana di ritardo. La sua vittoria non fu un plebiscito, ebbe però un buon margine. Ci fu un accordo politico tra l’esercito e Morsi. Questi “licenziò” il vertice dell’esercito e mise a capo di esso un nuovo generale, Al Sisi, divenuto, secondo la tradizione egiziana, anche ministro della Difesa. Al Sisi garantì a Morsi l’appoggio dell’esercito.
Passò appena mese e le cose cominciarono a cambiare. Morsi si rivelò un leader mediocre, incapace di affrontare la crisi economica che investiva anche l’Egitto, ma soprattutto decretò per sé la supremazia sulla magistratura andando verso un regime autoritario e musulmano. Fu allora che si coalizzò contro di lui quello che è stato definito “lo stato profondo” dell’Egitto, cioè l’insieme degli apparati di sicurezza, della burocrazia, dell’esercito, degli industriali, dell’apparato del vecchio regime, insomma tutta quella classe che le privatizzazioni fatte trent’anni fa da Nasser e da Sadat avevano arricchito e che Mubarack non aveva protetto adeguatamente (la ragione della sua caduta).
Fu così che i vari apparati del vecchio regime spinsero i Tamarod, cioè i liberali, laici e il popolo a manifestare in massa per protestare contro il nuovo regime musulmano in Egitto. Come si ricorderà, ci fu una raccolta di firme, circa 20 milioni, contro Morsi, delle manifestazioni oceaniche che chiedevano risposte a Morsi, che questi non dava, fino a quando intervenne l’esercito – e siamo al mese di luglio – con l’arresto di Morsi stesso, la sua destituzione, la nomina di un presidente ad interim, nella persona dell’economista adly Mansour, che ha nominato a sua volta un governo provvisorio, mettendovi a capo un altro economista, il 78enne Hazem El Beblawi.
Tra la seconda metà di luglio e la prima metà di agosto la situazione è precipitata. Terminate le manifestazioni oceaniche di Tamarod, sono iniziate quelle dei Fratelli Musulmani che hanno gridato al golpe. Sono seguiti decine di arresti, non solo di Morsi, ma anche di altri leader della Fratellanza Musulmana e di leader religiosi che li appoggiavano. Decapitata, la Fratellanza Musulmana si è riorganizzata, malgrado abbia perso potere e capacità d’iniziativa. Infatti, una cosa è governare, un’altra è opporsi e aggregare i propri militanti, soprattutto dopo aver gustato il potere, esercitato tra l’altro male perché occupato letteralmente dai propri adepti.
Insomma, sono continuati gli scontri, provocati da coloro che si ritenevano estromessi dal potere con un golpe e fronteggiati dalla polizia che ha cercato di riportare l’ordine. La violenza è andata crescendo, con decine di morti al giorno, scontri, violenze di ogni genere, fino al punto che la polizia, sotto la regia del generale Al Sisi, capo delle forze armate, è intervenuta con una dura repressione.
E siamo ai nostri giorni, con il bagno di sangue della settimana scorsa e la dichiarazione dello stato di emergenza. I morti sono stati centinaia e centinaia tra i manifestanti, ma anche tra i poliziotti. Ovviamente, il governo accusa i manifestanti, decisi ad opporsi con ogni mezzo fino alla fine, e i manifestanti accusano la polizia di provocazione e di repressione indiscriminata.
Dal governo si sono dimessi El Baradei, vice premier moderato, e altri due vice premier, Hossam Eissa e Ziad Bahaa El-Din, per protestare contro le violenze. Protestano contro le violenze anche gli Usa e l’Onu, ma la realtà è che è difficile trovare una soluzione quando a scontrarsi sono milioni di persone che cercano di distruggere le altre.
Non sono pochi coloro che danno la colpa agli Usa, per avere sostenuto i manifestanti contro Mubarack senza avere in mente cosa sarebbe successo dopo. Era un regime che concedeva poco alla democrazia, ma era un despota laico, esattamente come lo erano Gheddafi e Ben Alì rispettivamente in Libia e in Tunisia. Contribuendo al rovesciamento dei vecchi regimi, non si sono fatti passi in avanti, né nella democrazia, né nel benessere. Il che dimostra che gli occidentali spesso, e l’Iraq ne è un esempio, riescono solo a combinare più guai.
Sull’Egitto ora grava il rischio serio di una guerra civile sanguinosa e interminabile, come da due anni sta accadendo in Siria.