L’ultimo weekend di Febbraio e precisamente il 28, centinaia di persone si sono ritrovate davanti Place de Sardaigne per assistere alla cerimonia ufficiale di inaugurazione del monumento di riconoscenza all’emigrazione italiana: una scultura di Jo Fontaine realizzata in marmo serpentino, intitolata Cosmos. Con questa inaugurazione, va a segno l’ennesima iniziativa della SAIG (Società delle Associazioni Italiane di Ginevra), tesa al riconoscimento dell’emigrazione italiana nel Cantone di Ginevra. Alla cerimonia erano presenti: Carmelo Vaccaro, Coordinatore della SAIG, Stéphanie Lammar, Sindaco di Carouge, Andrea Bertozzi, Console Generale d’Italia a Ginevra, Nicolas Walder e Jeannine de Haller, Consiglieri Amministrativi della Città di Carouge, l’Onorevole Gianni Farina, Presidente del Gruppo Interparlamentare di Amicizia Italo-Svizzera e Sonja Molinari, Presidente del Consiglio Comunale di Carouge.
Come ricordato da Carmelo Vaccaro, per molti italiani del cantone di Ginevra, la città di Carouge viene considerata come una “Little Italy” americana. Ciò è dovuto, probabilmente, non solo all’atmosfera ed alla sua particolare architettura ma alla stessa popolazione di Carouge. Gli abitanti di questa città hanno accolto i primi italiani arrivati, li hanno ospitati come avrebbe fatto una famiglia con un parente lontano ed hanno condiviso con loro la crescita di questo paese. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando da povero sobborgo di operai italiani migranti si è trasformato in “salotto buono” della Ginevra di oggi. Carouge deve molto di tutto questo proprio a loro. La Cerimonia è proseguita con la lettura di alcune testimonianze degli emigrati da parte di tre ragazzi dei corsi di italiano. Gli italiani emigrati usavano i dialetti, ma nel momento dello scrivere ricorrevano al loro “poco” italiano. Gli errori, le sgrammaticature e il ricorso a parole dialettali sono già da soli una prova del dramma dell’emigrazione forzata delle classi più povere. Nonostante la loro difficoltà a scrivere in italiano, le lettere degli emigrati riescono a comunicare pezzi di storie individuali con grande espressività. Pensieri come: “noi Italiani qua in Svizzera non siamo ben accettati e cercano in tutti i modi di mandarci via e speriamo anche noi di venire presto nella nostra bella terra. Per noi qua la vita è sempre la solita ma non ci lamentiamo perché sicuramente in altre parti ci saranno emigranti trattati peggio di noi”, oppure: “sono emigrato in Svizzera da circa 2 mesi, ma sfortunatamente, dopo un mese di lavoro si è incendiato un motore, causandomi bruciature in tutto il corpo, rendendomi quasi cieco e con il corpo devastato da cicatrici.” Semplici pensieri che esprimono le difficoltà e frustrazioni di giovani italiani che al tempo lasciavano il loro paese per trovare lavoro e cambiare vita.
Anche Stéphanie Lammar ha evidenziato come Carouge metta gran parte delle sue radici anche al di là delle Alpi. Chi, difatti, conosce un po’ la storia del comune percepisce i legami transalpini della città. Per tanto tempo infatti Carouge è stata parte del Regno di Sardegna e grazie al contributo di architetti italiani di Torino, ha ottenuto un’architettura mediterranea unica nel suo contesto. Inoltre, bisogna rilevare che al tempo, il 26% della popolazione di Carouge era originaria delle regioni del Regno Sabaudo. Questo ha comportato l’arricchimento della città in termini di apertura, diversità e tolleranza, rendendo così oggi Carouge una Città cosmopolita. Rendere omaggio al popolo italiano è dunque un modo per parlare della storia stessa di Carouge. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’immigrazione italiana è stato il fenomeno migratorio più importante registrato in territorio Svizzero. In circa 12 anni, gli italiani hanno costruito la loro vita e poco per volta, con incredibile armonia e senza alcuna difficoltà, il fatidico “chez nous” è diventato anche per loro “chez eux”. Popolo di lavoratori onesti che arrivati con le loro valigie piene di sole del mediterraneo o del Piemonte, portarono la loro voglia di vivere e il loro dinamismo. Tutto ciò ha permesso alla Svizzera di divenire un realtà economica in pieno regime.
Nonostante le forti critiche all’immigrazione, oggi è importante sottolineare l’esemplarità del popolo italiano, che senza mai rinnegare la sua cultura né le sue radici, ha talmente contribuito alla costruzione di questo paese che oggi ne è diventata parte integrante. Ed è per questo che Carouge è fiera di ospitare questo monumento, omaggio meritato e necessario. Questa scultura, fatta da Jo Fontaine, artista ginevrino, presenta in superficie delle linee falsamente concentriche tracciate dagli attrezzi dello scultore che ci rinviano ad un tipo di cartografia immaginaria del cosmo, alle traiettorie di pianeti intorno ad un punto che non è proprio al centro. Il Cosmos ci ricorda l’idea di abolizione delle frontiere, simbolo ideale per rendere omaggio agli immigrati italiani.
Ma torniamo alla celebrazione.
Il Presidente del Consiglio, la Signora Molinari inizia il suo discorso con la famosa citazione di Max Frisch “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”. Questa frase ci riporta indietro nel tempo in quegli anni 50-80 ricordati come “le 30 annate gloriose”. E’ l’epoca dei grandi cantieri e di una crescita economica senza limiti. Per gli italiani emigrare significava da una parte “lavoro”, la speranza di una vita migliore, ma dall’altra abbandono della famiglia, dei luoghi della infanzia, delle proprie tradizioni e delle profonde radici culturali. Significava anche una nuova vita in un paese non tanto lontano geograficamente, ma dove usi e costumi erano diversi, e adattarsi richiedeva flessibilità, forza e coraggio. Frisch nella sua citazione a “Les Attentes”, ricorda: “da questa parte della frontiera l’unico obiettivo era ricercare manodopera mettendo da parte i sentimenti e le sensazioni che gli emigrati sentivano nel lasciare la propria terra e quindi trascurando l’aspetto umanitario”. Sono stati anni difficili e densi di forti pregiudizi raccontati anche dal mondo del cinema con i film “Pane e Cioccolata” di Brusati, uscito nel 1972, e “I Fabbricasvizzeri” di Rolf Lyssy, uscito nel 1978, dimostrando quanto il problema fosse sentito tanto che quest’ultimo, fino al 1997, deteneva il primato del film più visto in Svizzera. A tal proposito, il Presidente ha offerto ai presenti un aneddoto personale avvenuto agli inizi degli anni 60 a Zurigo. Durante la ricerca di soggiorno del giovane padre, nonostante al tempo i problemi dell’alloggio non erano quelli di oggi, si ritrovò nella ricerca in serie difficoltà. L’essere italiano faceva presagire schiamazzi, rumori, odori di cucina speziata, serate in discoteca e chissà che altro. Allora, il ragazzo demoralizzato decise di travestirsi da militare svizzero riuscendo così a trovare un appartamento in tempi brevissimi. Questo aneddoto richiama la nostra attenzione a quali e quante siano state le discriminazioni e le difficoltà subite al tempo dagli emigrati italiani ma anche al segno lasciato dai nostri connazionali ed al contributo offerto in eredità ai nostri figli.
Il dolore di ieri è diventato il benessere di oggi e, grazie al cielo ed agli italiani di Carouge, la speranza di domani. Mons. Massimo De Gregori, prelato presso la Missione permanente della Santa Sede a Ginevra, ha officiato e benedetto il monumento offrendo l’ultimo ma autorevole contributo al nuovo simbolo dell’italianità a Carouge. L’evento si è concluso con un aperitivo cortesemente offerto dalla giunta comunale di Carouge.
C.L.