La mancanza di una forte governance in Europa è causa delle difficoltà dei singoli Stati
In un’intervista al Corriere della Sera di lunedì, Pierferdinando Casini, il sostenitore acritico ma leale di Monti, alla fine deve riconoscere che “Monti non ha la bacchetta magica”. Purtroppo, è drammaticamente vero, come gli fa eco Renato Brunetta, in un articolo apparso lo stesso giorno su Il Giornale. Dopo aver fatto un’analisi delle difficoltà europee e dopo aver concluso che la Germania ha finora demolito l’Europa lucrando sull’euro e arricchendosi ai danni del debito di altri Paesi, Brunetta scrive: “Il problema non era, come non è tuttora, l’Italia (…) il problema è la mancanza di una governance forte dell’Europa. Su La Stampa, l’ex capo economista del Fondo monetario internazionale, Simon Johnson, ha ribadito gli stessi concetti: “In teoria si potrebbe ancora salvare l’euro, ma questo richiederebbe una forte azione di leadership, per varare una costituzione simile a quella che gli Stati Uniti adottarono al momento della loro nascita. Servirebbe la creazione di una vera autorità fiscale centrale, capace di coordinare e armonizzare le scelte dei singoli Stati”. Insomma, gira e rigira, la questione è sempre la stessa: o ci saranno gli eurobond (di cui parlò già Tremonti a suo tempo e parlano Monti e Berlusconi e tanti altri, tra cui il neopresidente francese François Hollande), o la Bce sarà prestatore di ultima istanza dell’euro oppure saranno guai.
La Germania ci sta trascinando nei guai e non s’intravedono svolte, perché Angela Merkel così come pure i leader della Spd, hanno ribadito un no secco agli eurobond. In definitiva, noi facciamo sacrifici e non otteniamo nulla, perché i nostri soldi vengono fagocitati dalla speculazione che a sua volta approfitta delle debolezze dei singoli Stati e dell’Europa nel suo complesso. Per venire alla situazione politica italiana, che risente di quella economica, il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha drammaticamente ammesso che sono “28 i milioni di italiani colpirti dalla crisi” e che la disoccupazione è salita al 10,2%, facendo un balzo in avanti di oltre due punti nel giro di pochi mesi. Si ha l’impressione che si stia creando una situazione di paralisi da cui i partiti e gli stessi leader non riescono ad uscire, impediti da diffidenze reciproche e da una classe politica in fondo inadeguata a far fronte ad una situazione compromessa da anni di comportamenti assurdi.
La riforma del lavoro, approvata dal Senato, è giunta alla Camera. Probabilmente verrà messa la fiducia, altrimenti i tempi saranno più lunghi. Ma una cosa è certa: non è la riforma che ognuno voleva, nemmeno quella che lo stesso governo e la stessa Fornero auspicavano. In definitiva, ci sono miglioramenti nella cosiddetta “flessibilità in entrata”, cioè nella più facile possibilità di assunzione, ma è quella in uscita che comunque frenerà le assunzioni. A parte, insomma, qualche concessione, la risoluzione del rapporto di lavoro per motivi economici è demandata sempre ai giudici. Malgrado la costituzione di un tribunale del lavoro ad hoc, in Italia il problema rimane lo stesso: si assume poco perché poi licenziare è difficile e costoso e il mercato del lavoro è fermo. La stessa cosa avviene nella riforma istituzionale: sono mille gl’impedimenti che finiscono poi per svuotare di validità e di novità le varie riforme in cantiere. Tutti hanno ricette miracolose, nessuno riesce a metterle in pratica, perché la classe politica italiana è litigiosa al massimo livello. Si litiga anche sulla festa della Repubblica, figuriamoci su interessi economici ed elettorali. Tempo fa Monti osservò che il modello di governo e di decisioni di quello attuale, sarebbe stato auspicabile anche dopo la fine della legislatura. Ovviamente non alludeva a sé come premier, diceva però in maniera chiara che il comportamento dei partiti nei rapporti tra loro e al proprio interno sarebbe dovuto essere diverso rispetto al passato, recente e remoto.
In sostanza, ora appare più chiaro il suo pensiero, alla luce delle difficoltà economiche e politiche che purtroppo saranno destinate ad aggravarsi in futuro: bisognerebbe pensare in termini di unità e non di disgregazione nazionale, per combattere adeguatamente fenomeni che coinvolgono non solo i singoli Stati ma l’Europa, gli Usa, il mondo. Da noi, invece, si approva una legge e si pensa al modo per non farla applicare (Santanché e l’Imu), si fecero riforme giuste e si pensò solo a svuotarle (il governo Prodi e il gradone previdenziale abolito), per non parlare della legge elettorale, sbandierata come necessità o emergenza democratica e invece piegata ai propri interessi elettorali. La politica italiana è destinata a non contare se non diventerà seria, se si lascerà travolgere dagli avvenimenti internazionali. A metà giugno, cioè fra meno di due settimane, si deciderà il destino della Grecia: che resti nell’euro o ne sia fuori non è una cosa da nulla, avrà ripercussioni, anche pesanti, sugli altri, Spagna soprattutto, ma anche Italia. La prossima estate, decisamente, non sarà un’estate come un’altra.