L’accordo tra repubblicani e democratici raggiunto solo all’ultimo momento e comunque è temporaneo: il rischio shutdown e default si ripresenterà 15 gennaio e il 7 febbraio
Come era prevedibile, la sfida c’è stata fino all’ultima mezz’ora, poi, come era altrettanto prevedibile, l’accordo si è trovato. Negli Usa lo shutdown è terminato dopo sedici giorni di non-lavoro ed è stato scongiurato anche il ben più temibile default.
E’ successo che i Tea Party erano decisi a non mollare, cioè a non cedere senza un contemporaneo cedimento dei democratici e di Obama sulla riforma sanitaria e sui tagli alla spesa pubblica. Nemmeno il presidente intendeva cedere, ma aveva dalla sua parte il fatto che l’approvazione della riforma sanitaria era “un atto dovuto” da parte della Camera. Non cedere avrebbe significato mandare l’economia americana al macero, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate per gli Usa e il popolo americano, ma anche per il resto del mondo, perché cadendo quella americana sarebbero cadute anche altre economie a catena nel mondo.
Lo speaker della Camera, il repubblicano John Bohener, ostaggio dei Tea Party, colui che senza l’aiuto dei Tea Party potrebbe non essere rieletto nelle votazioni del “middle term”, è rimasto prigioniero fino alla fine dei suoi sponsor politici, anche perché pensava che tutti i repubblicani avrebbero retto fino alla fine, ma la parte moderata, capeggiata da Mitch McConnell, non c’è stata ed ha annunciato all’ultimo minuto l’accordo sul bilancio e sull’innalzamento del debito pubblico, permettendo di porre fine alle vacanze forzate (shutdown) e al default (inadempienza a pagare i debiti e quindi a dichiarare bancarotta).
La realtà è che c’è stato un vincitore, Obama, e un vinto, il partito repubblicano, anche se il presidente ha detto che “non ci sono né vinti né vincitori”, evitando di calcare la mano visto che nelle prossime settimane si riproporrà lo stesso problema.
Ma prima di arrivarci, dobbiamo dire che il popolo americano è stanco di assistere ad un braccio di ferro politico ed ideologico di cui è il popolo stesso a farne le spese. Circa 700 mila persone non hanno lavorato per sedici giorni e circa 24 miliardi di dollari (due finanziarie italiane) sono quelli bruciati da questa prova di forza. I sondaggi dicono che il 76% degli americani non hanno fiducia nei repubblicani e il 53% in Obama. A leccarsi le ferite sono soprattutto i repubblicani, dunque, che probabilmente nelle elezioni di metà mandato subiranno una batosta, ma oltre la metà non approva nemmeno l’operato del presidente.
Dicevamo che la sfida non è terminata, ed è vero, perché l’accordo approvato non è definitivo. Il 15 gennaio e il 7 febbraio si ripresenteranno di nuove le scadenze per l’approvazione del bilancio e per l’innalzamento del debito. In sostanza, l’accordo siglato è temporaneo e dice che, appunto, l’approvazione del bilancio e l’innalzamento del debito avranno valore fino alle date citate, per dopo o si farà un nuovo e definitivo accordo oppure i termini della questione si ripresenteranno esattamente come una settimana fa.
Ecco perché Obama non ha forzato la mano: avrà ancora bisogno dei moderati repubblicani per la partita finale sul bilancio e sull’innalzamento del debito. Il presidente ha lanciato tre temi di assoluta priorità. Innanzitutto, un’intesa sul “bilancio responsabile” che comprende tagli sì ma senza eccessi (“eliminare ciò che non serve per investire in educazione, infrastrutture e ricerca”); in secondo luogo, la riforma dell’immigrazione, che in sostanza significa una sanatoria dei clandestini che vivono negli Usa da alcuni anni, quindi si tratta di una legalizzazione della loro posizione; in terzo luogo, una legge sull’agricoltura che protegga i più deboli e dia ai contadini e alle imprese agricole la possibilità di crescere. A nessuno sfugge il progetto di Obama: quello di favorire una categoria di persone che finora hanno votato per i repubblicani per averne i voti.
Secondo il politologo Larry Sabato, l’accordo sarà possibile solo se i repubblicani si libereranno del cappio dei Tea Party e solo se repubblicani e democratici si concentreranno sui tagli responsabili alla spesa. Dice, infatti, Larry Sabato: “La sola cosa da fare è raggiungere un accordo sul taglio della spesa, sforbiciando su alcuni capitoli come Medicare e Social security che non possiamo più permetterci così come sono. Nella riforma c’è qualcosa che non funziona, ed è logico che i repubblicani siano contrari, ma utilizzarla come arma di ricatto per negoziare sul debito è folle”.