È partita in Italia la campagna delle organizzazioni non lucrative per chiedere ai contribuenti di destinare il cinque per mille delle proprie tasse a quelle organizzazioni, appunto, che operano nel campo della ricerca e della promozione culturale ed assistenziale.
Tra queste organizzazioni c’è l’Airc, l’associazione italiana per la ricerca sul cancro.
Se ne parliamo non è per sensibilizzare i connazionali a versare il loro contributo perché questo non è possibile, ma per illustrare i progetti che l’Airc sta facendo partire proprio con i soldi dei contribuenti, già a disposizione della ricerca.
Si tratta di cinque progetti, selezionati da una Commissione internazionale di esperti tra dieci proposte, che godono già da subito di un sostegno di 8 milioni di euro, con la certezza di poter contare su altri 52 milioni nell’arco dei prossimi cinque anni. In totale si tratta dunque di 60 milioni di euro.
Ognuno comprende che ogni progetto di ricerca avrà delle ricadute pratiche nella cura dei tumori.
Ovviamente, i progetti di ricerca dell’Airc non sono i soli esistenti nel mondo, di conseguenza, non solo vanno ad aggiungersi a quelli esistenti, in corso o in via di definizione, ma offrono alla ricerca sul cancro un contributo italiano ad alto livello.
I cinque progetti di ricerca coinvolgono ben 464 persone tra clinici e ricercatori. Per dare un’idea dello sforzo citiamo alcuni nomi. Innanzitutto il professor Alessandro Massimo Gianni, dell’Istituto dei tumori di Milano; il professor Federico Caligaris-Cappio (del San Raffaele di Milano), il professor Paolo Comoglio (dell’Istituto di Candiolo-Torino, insieme al Niguarda di Milano); il professor Roberto Foà (dell’università La Sapienza di Roma con il coinvolgimento delle università di Perugia, Bologna, Torino, Piemonte Orientale); il professor Alessandro Vannucchi (dell’università di Firenze con il Policlinico di Pavia, Modena, Reggio Emilia e gli Ospedali riuniti di Bergamo).
Qual è l’idea alla base dei progetti? Facciamo rispondere il professor Alessandro Massimo Gianni, che dice: “Si è partiti dall’osservazione che le cellule staminali adulte della linea del sangue (emopoietiche), una volta iniettate nei pazienti hanno un’attrazione per le cellule tumorali. E che quelle tumorali – di qualsiasi tumore si tratti – nell’80-90 per cento dei casi hanno un recettore per una proteina naturale, Trail, in grado di ucciderle.
Ma questa proteina non ha di per sé l’attrazione fatale verso il bersaglio, né riesce numericamente ad essere efficace. Di qui la soluzione: armiamo le staminali con Trail”.
Detto in parole più semplici e in fasi, durante la prima fase le cellule staminali adulte vengono prelevate dal midollo osseo del paziente. Nella seconda fase le staminali vengono coltivate e modificate inserendovi il Dna della proteina Trail. Nella terza fase le staminali, “armate” con Trail, vengono iniettate nel paziente e automaticamente vengono attratte laddove ci sono cellule tumorali. Quarta fase: l’80% dei tumori ha cellule con il ricettore di Trail che induce l’apoptosi, cioè il suicidio, della cellula stessa.
Nella sperimentazione sarà coinvolto un paziente nei prossimi tre anni; poi altri 18-20 nei due anni successivi. Si tratta di pazienti che non rispondono ad altre cure.
Nei progetti, oltre alle persone e alle istituzioni citate, saranno coinvolti il San Raffaele di Milano, l’Istituto Superiore di sanità e il Baylor College of Medicine di Houston, che ha modificato le staminali.
Il professor Robert Bast, eminenza dell’oncologia mondiale, a nome di 18 revisori internazionali che hanno selezionato i progetti, ha dichiarato: “Siamo rimasti profondamente impressionati dalla qualità delle proposte e dalla loro potenzialità di migliorare le cure. Un attestato d’eccellenza per la ricerca italiana sul cancro”.