Le ondate di violenza e di devastazioni ai danni dei simboli occidentali e in particolare delle sedi diplomatiche americane in Libia, Egitto, Mali, Nigeria, Yemen e via di seguito, iniziate con l’assassinio dell’ambasciatore Chris Stevens, sostenitore delle “Primavere arabe”, e di altri tre funzionari, non si spiegano né si giustificano con un film pressoché clandestino prodotto negli Usa ad opera di oscuri personaggi di origine egiziana e ritenuto “blasfemo” – e lo è, a giudicare da quel che se ne riferisce – nei confronti del Profeta Maometto. Si assiste, in quasi tutti i Paesi musulmani, ad un’esplosione di odio che cova da tempo e che l’Occidente ha alimentato – se mai ce ne fosse bisogno – con la pretesa di esportare nel mondo musulmano i fondamenti della civiltà occidentale conquistata dopo secoli e secoli di lotte contro il potere monarchico e dopo secoli di lenta ma progressiva maturazione democratica.
Nel 2002 Bush volle esportare la democrazia in Iraq, ma in realtà, alla prova del tempo, dopo 8 anni di guerra, di attentati, di devastazioni, a parte qualche passaggio formale, l’Iraq ospita il caos, è terra di lotte tra sciiti e sunniti, la gente muore, non si vive meglio di prima. Saddam Hussein, Gheddafi, Ben Alì, Mubarack, Assad, erano dittatori? Certo che lo erano. Ma l’Occidente non può andare a rovesciare i dittatori che ci sono nel mondo, altrimenti dovrebbe intervenire anche a Cuba, in Cina, nella Corea del Nord e in centinaia di Stati africani. Purtroppo, la storia non ha insegnato nulla: la democrazia non s’impone né con le leggi, né con le armi, è un processo lungo e sofferto che ogni popolo, da solo, se vuole, deve conquistarsi. Gli americani e i francesi, soprattutto, vollero intervenire in Libia per far fuori Gheddafi. Bene. Ora, però, la Libia è uno scontro infinito di fazioni, di bande armate, di terroristi, di fondamentalisti. La cosiddetta “Primavera araba” è stata inghiottita dagli islamisti: era la bandiera di pochi, per la maggioranza degli oppositori era solo uno specchio per le allodole occidentali. A luglio i ribelli moderati, con in testa Mohamoud Jibril, sembrava che avessero ottenuto la maggioranza e invece ora al ballottaggio hanno vinto gl’islamici di Mustafa Abou Shaqour. Il Paese non ha istituzioni, brucia, è caduto dalla padella alla brace.
L’Egitto non è diverso. Hanno vinto i due partiti islamici che insieme avevano conquistato il 70% nel Parlamento sciolto e che si riformerà come prima. La moderazione di Morsi è solo diplomatica e si spiega con gli aiuti occidentali miliardari, con i quali viene finanziata la cultura antioccidentale. La verità è che nessuno dei Paesi musulmani è democratico e non lo sarà per chissà quanti decenni, perché prima di tutto la lotta è tra di loro, tra sciiti e sunniti, che da secoli letteralmente si scannano su questioni di gerarchie religiose, di discendenze, di interpretazioni dottrinarie, avendo come comune nemico la cultura ebraica e occidentale e, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, quella cristiana. Assad, in Siria, è un dittatore, esattamente come lo era suo padre, ma la guerra civile è tra sciiti e sunniti, tra le rispettive, innumerevoli fazioni armate e fanatiche. Con gl’interventi militari per abbattere i dittatori non si è fatto altro che favorire gli oppositori che poi sono peggio dei dittatori precedenti e che poi, per giunta, riversano il loro odio contro chi li ha aiutati a disfarsene. La favola, raccontata da Guido Olimpio sul Corriere della Sera, della rana che porta lo scorpione sull’altra riva del fiume e che poi viene ammazzata per ringraziamento, si addice bene all’ambasciatore Stebens, ma è soprattutto drammaticamente vera.
Il dialogo? Certo, ci mancherebbe, ma l’Occidente – lo diciamo non solo provocatoriamente – dovrebbe soprattutto mobilitare i suoi scienziati per creare altre fonti di energia, diverse dal petrolio, e non immischiarsi negli affari interni di Paesi che hanno tradizioni, mentalità e cultura – diciamo così – non intercambiabili. Un’ultima annotazione: per Israele, popolo e Paese democratico, principale bersaglio di sunniti e sciiti, non è facile sopravvivere.