Ho letto con interesse l’articolo pubblicato sulla Pagina sul tema dei disturbi del linguaggio, e vorrei esprimere il mio parere o esperienza personale. Innanzitutto se c’è un libro che va letto che tratta in modo approfondito sul tema in questione oltre all’uso in generale dei media digitali, e dell’impatto sulla mente dei giovani e non, è quello di Manfred Spitzer (Demenza digitale). È un’analisi spietata di uno dei più noti e autorevoli studiosi della rete. Dalla penna di uno dei più rinomati neuro scienziati tedeschi, si tratta di un documentatissimo saggio che avendolo letto personalmente, mi ha convinto di come i media digitali siano pericolosi per la nostra mente e il nostro corpo, se usati in modo errato. È giusto intervenire in tempo sui bambini in età prescolastica che oltre alla lingua materna, spesso incontrano, difficolta, come nel caso di stranieri nell’apprendimento di una o più lingue, che dovranno apprendere nel corso del loro percorso scolastico. Senza computer, smartphone e internet oggi ci sentiamo perduti. Questo vuol dire che l’uso massiccio delle tecnologie di consumo sta mandando il nostro cervello all’ammasso. E intanto la lobby delle società di software promuove e pubblicizza gli esiti straordinari delle ultime ricerche in base alle quali, grazie all’uso della tecnologia, i nostri figli saranno destinati a un radioso futuro ricco di successi.
Se gli interessi economici in gioco tendessero a sminuire, se non a occultare, i risultati di altre ricerche che vanno in direzione diametralmente opposta? In conformità a tali studi, l’autore si domanda in questo libro documentatissimo e appassionato, se è lecito lanciare un allarme generale. I media digitali in realtà rischiano di indebolire corpo e mente non solo dei nostri figli. Se ci limitiamo a chattare, twittare, postare, navigare su Google… finiamo per parcheggiare il nostro cervello, ormai incapace di riflettere e concentrarsi. Un altro effetto nocivo è quello del multitasking che vorrei spiegare con uno scenario tipico e reale. Immaginiamoci un giovane che davanti al suo PC elabora un testo scolastico, mentre con lo smartphone è collegato via “Whatsapp” con il resto della classe per chiedere dei lumi sul compito da risolvere, e altri pettegolezzi vari che non centrano niente con lo studio. Intanto la TV da anni ospite fissa nella sua camera trasmette la sua serie preferita, che tra un tentativo disperato di raggiungere il prossimo livello con la “Game Console”, e il rispondere a ‘alcuni sms, farà seguito (facendo attenzione ai genitori), alla visita in Internet di alcuni siti pornografici consigliati da dei compagni di scuola. In questo scenario non troppo irreale, affermare che l’uso sempre più intensivo dei media digitali scoraggia lo studio e l’apprendimento è riduttivo. Per non parlare dei social che regalano surrogati tossici di amicizie vere, indebolendo la capacità di socializzare nella realtà e favorendo l’insorgere di forme depressive. Mettiamo i politici, intellettuali, genitori e i cittadini di fronte a questo scenario. È veramente quello che vogliamo per noi e per i nostri figli? Sempre secondo studi accertati ma poco pubblicizzati, l’utilizzo sfrenato dell’informatica come strumento compensativo non migliora le capacità di apprendimento dello studente. E qui interviene Manfred Spitzer, dichiarando che si assiste a una vera e propria “demenza digitale” che, secondo il suo parere, assopisce il cervello dell’individuo, dislessico e non, e ne distrugge la sua creatività. Se togliamo l’informatica al dislessico come potremmo aiutarlo concretamente? Innanzitutto motivando o se preferite stimolando in lui la passione per qualcosa che faccia volentieri.
Ed è sulla passione che inizialmente bisogna puntare per aiutare il dislessico. Bisogna prima appassionarlo alla matematica e solo dopo permettergli di utilizzare la calcolatrice. Invece ti vendo migliaia di software e computer super potenti per obbligarti a studiare una cosa che odi già in partenza. Ecco che il problema si capovolge. Il compito dell’insegnante nei confronti degli studenti, dovrebbe essere di stimolare in loro la passione per la matematica, la letteratura, l’inglese, ecc. La mia esperienza come genitore è che raramente l’insegnante si preoccupa se tuo figlio conosce a memoria le tabelline, o che sappia spiegarti il perché del ragionamento che si “cela” dietro alla soluzione di un problema logico-matematico. In ultima analisi, non è massimizzando i processi di elaborazione delle informazioni che comparandoci a un computer, sapremmo trovare delle soluzioni ai quesiti posti durante la fase di apprendimento, e in seguito nella vita. Senza l’esperienza di apprendimento vissuto e guidato dalla passione e volontà, ogni sforzo, e utilizzo della tecnologia, sarà solo una perdita di tempo che avrà come unico beneficiario l’industria dei videogiochi e altri surrogati spacciati come aiuto per l’apprendimento. Purtroppo l’inganno nasce dalla nostra pigrizia di approfondire certi temi, e di andare a volte controcorrente alle mode del momento. Mario Pluchino