On. Farina,
la retorica della resistenza è il mito dei partigiani e ironia della sorte chi ha portato Lei e i suoi colleghi di partito in parlamento è stato il ragazzo di Salò, all’anagrafe Mirko Tremaglia. E pensare che la sinistra era restia alla costituzione della circoscrizione estera e al voto per corrispondenza.
Ci vuole coraggio a definire plebe 10 milioni di persone. È come se 10 milioni di Italiani vengono etichettati degli emeriti “imbecilli”. Non ho votato Grillo, in quanto ho la fortuna di non cavalcare le mode del momento, quelle passano. Non condivido affatto il loro modo di far politica, personalmente lo definisco approssimativo. Ma pur non condividendo le loro idee le rispetto, in fondo hanno deciso di cambiare e già questo è un segnale positivo. Fin qui ci può stare, in fondo l’onorevole altro non fa che il suo mestiere. E cioè? Tira l’acqua al proprio mulino! Quando la sinistra prova a pensare si denota immediatamente la retorica di chi non ha niente da proporre. Infatti, tira in ballo la resistenza e i partigiani. Niente di illegale si capisce, tutto nella norma.
È nell’indole di chi non ha ancora capito che la folle ideologia di Dugasvilli, presa alla lettera dal compagno Marx, nonché amico di Engel, dove viveva, mangiava e dimorava, è ormai un lontano ricordo, sconfitta non da una guerra, ma bensì condannata dalla storia. Si tranquillizzi Onorevole, non sono un 5 stelle. Dunque niente insulti e nessuna volgarità, ma soprattutto nessun “Guru” che mi da direttive. Io appartengo ad un’altra categoria. Non mi fraintenda, ma credo di essere un attimino superiore. Provengo dalla scuola di Giorgio Almirante ed ho l’onore di essere amico del ex-compagno Antonio Lanza. Lei ha orgogliosamente citato le sue origini partigiane, dove ha evidenziato il riscatto del tricolore. Detto questo e arrivati a questo punto, credo che Lei non possa esimersi dallo spiegarci a quale categoria di partigiani fa riferimento. Andiamo per ordine. Come certo saprà, vi erano due categorie di partigiani. I primi e forse i più tristemente famosi erano i partigiani rossi. Detto tra noi erano quelli che aspettavano l’arrivo di “Baffone”, in pratica, quella malsana ideologia che ci avrebbe fatto diventare un paese satellite dell’ URSS. Fortuna volle che tutto ciò non avvenne. I partigiani cosiddetti bianchi, pur nelle loro molteplici contraddizioni, avevano come scopo la sconfitta del Fascismo sostituendolo con una repubblica. Come Lei certamente noterà, le differenze erano di non poco conto. Dato che siamo in tema, ne approfitto per ricordarle la brigata Osoppo, partigiani bianchi comandati da Francesco de Gregori, omonimo zio del famoso cantautore. Ebbene, per ignari motivi, che poi non sono così ignari, il comandante dei GAP (gruppi di azione patriotica, si fa per dire), tale Mario Toffanin, comunista in stretto contatto con i comunisti Slavi di Tito e con il soprannome di capitan Giacca, trucidò il gruppo di Partigiani bianchi con condanne sommarie che durarono dal 7 al 10 febbraio dell’anno 1945. Alla fine l’eroico capitano Giacca si sentì porre la seguente domanda: “È rimasta la bandiera, cosa ne facciamo del tricolore?” la risposta fu secca: “Io non conosco nessuna bandiera, la mia è rossa e con falce e martello. Io prendo ordini solo da quella.” Allora, ci faccia capire, Onorevole. Dove sta il riscatto del tricolore? Mi permetta un’ultima delucidazione. Conoscerà di certo il compagno Bulow, all’anagrafe Arrigo Boldrini. Non so se ci siano di parentela con la presidente della camera, ma Lei certamente ci spiegherà. Sono certo che Lei ha capito a cosa mi riferisco. Si, parlo dell’eccidio di Cadavigo (PD). Il compagno Bulow con processi farsa, si rese responsabile della morte di 136 persone. Pollice giù giudizio contrario, pollice su… inesistente. E pensare che questo eroico partigiano non fu mai condannato. Anzi, ricevette la medaglia d’oro al valor militare. Sinceramente non riesco a comprendere dove sta l’azione militare. Ah, dimenticavo, le 136 vittime erano ritenute appartenenti alla Repubblica sociale, forse. Il recupero della memoria storica è un passo essenziale per rendere giustizia a chi non l’ha ancora avuta. Credo e spero che Lei non abbia nessuna affinità con falsi miti tramutati in eroi. Eversione, violenza, paroloni forse detti con troppa fretta, camice rievocative di fasti perduti ricordano che prima dell’avvento del Fascismo, le camice che incutevano il terrore erano di colore rosso, quelle dei sindacalisti che imponevano la tessera ai contadini delle campagne Emiliane-Romagnole. Nessuna apologia ai tempi che furono, ma quando si citano dei precisi avvenimenti storici è come somministrare un medicamento, ma bisogna leggere attentamente le controindicazioni!
Buon lavoro Onorevole, e come si diceva una volta, viva l’Italia.
Francesco Giorno, pres. MODIE (movimento diritti italiani all’estero)