Il presidente iraniano riconosce l’olocausto prima negato dal suo predecessore e dice che “la priorità è il disarmo nucleare” da parte di tutti. In Siria si va verso due risoluzioni Onu per una soluzione diplomatica del conflitto
All’assemblea generale dell’Onu l’incontro tra Obama e il presidente iraniano Hassan Rohani non c’è stato, il ministro degli Esteri ha detto che “non è un obiettivo”, ma non è neanche “un’area proibita”, un eventuale vertice, se si farà, sarà in futuro, dopo “i necessari preparativi”. Lo stesso Obama ricambia la prudenza: “Dopo oltre trent’anni di incomunicabilità, non si può pensare di risolvere i problemi in una nottata. Dubbi e sospetti restano fortissimi, da tutte e due le parti”.
Ecco, questa è la cornice in cui si è svolta l’Assemblea generale dell’Onu per quel che riguarda le attese che aveva suscitato la presa di posizione di Hassan Rohani sul nucleare e sulla bomba atomica, giudicata interessante dagli Usa. In sostanza, Rohani aveva detto che l’Iran non è interessato alla bomba (“Mai la bomba nucleare”), ma che è interessato al dialogo e che la distensione non significa rinunciare all’arricchimento dell’uranio. Ecco le sue parole dette in un colloquio con i giornalisti americani del Washington Post, dopo aver precisato che al mondo ci sono quaranta Paesi che arricchiscono l’uranio e che l’Iran vuole questo, nulla di meno, nulla di più: “Se deve essere arricchimento al 20% o al 5%, tutto può essere messo sul tavolo del negoziato”.
Che tra Usa e Iran si sia aperto uno spiraglio di dialogo, è innegabile. Lo dimostra l’avvio dei colloqui a Ginevra tra i 5+1 e l’Iran, colloqui che riprenderanno il 15 e 16 ottobre. L’Iran mira ad ottenere una “priorità”: “il disarmo nucleare”. In pratica rinuncia alla costruzione della bomba a condizione che ci rinunci anche Israele. Ecco il motivo per cui Netanyahu ha invitato il mondo a “non farsi ingannare”. Il presidente israeliano Shimon Peres, dal canto suo, ha detto che “Obama non sta dando un’altra opportunità agli iraniani, la sta dando alla pace, prima di ricorrere ad altri mezzi” Peres riconosce ad Obama il merito – da altri negato – di aver spinto gli iraniani a dialogare attraverso l’imposizione delle sanzioni. Insomma, l’inasprimento delle sanzioni un qualche risultato l’ha ottenuto.
A questo proposito, Sergio Romano, sul Corriere della sera di giovedì scorso, ha sostenuto che l’apertura dell’Iran e la disponibilità degli Usa trovano la loro ragione proprio nelle sanzioni, che hanno prodotto ripercussioni dure sulle condizioni di vita del popolo – e in questo ha visto giusto Obama – ma al tempo stesso non hanno scalfito la graniticità del “sistema” iraniano, che ha retto senza danni. Di qui l’interesse degli americani a trattare. D’altra parte, lo stesso ex presidente Ahmadinedjad sperava di poter arrivare alla bomba con una politica di attacco frontale duro, di sfida minacciosa agli Usa e all’Onu, ma non ci è riuscito, perché l’attacco di Israele all’Iran non c’è stato ma è stato solo rinviato a tempi migliori. Dunque, sia l’uno che l’altro hanno interesse a dialogare. Sarà una trattativa dilatoria? Netanyahu lo crede, ma non tutti sono dello stesso avviso.
Obama ha notato: “Le parole concilianti devono essere confermate da azioni trasparenti e verificabili”, alludendo agli ispettori Onu che devono essere messi in grado di accertare sul posto la situazione. Per “parole concilianti” Obama si riferisce alla svolta di Rohani di riconoscere l’olocausto, prima duramente negato da Ahmadinedjad. Le parole dell’attuale presidente Rohani sono chiare: “I nazisti hanno commesso un massacro che non può essere negato, soprattutto contro il popolo ebraico”.
Kerry e Zarif, rispettivamente Segretario di Stato americano e ministro degli Esteri iraniano, sperano di raggiungere un accordo in tempi brevi, ma la condizione, ha precisato Zarif, resta la rimozione delle sanzioni. A sorpresa, as Assemblea conclusa, propiziata dal lavoro di John Kerry, c’è stata una telefonata tra Obama e Rohani, la prima tra due capi di Stati e di governo dei due Paesi dal 1979. Tema della telefonata: l’impegno per la “cooperazione sulle questioni regionali”. La fine del gelo e l’inizio di un nuovo dialogo per una prospettiva di pace in Medio Oriente.
Sul fronte siriano ci sono delle novità. Intanto si sta frantumando il fronte delle opposizioni. Varie formazioni terroriste si stanno distaccando dalle altre meno violente. Si stanno combattendo due guerre contemporaneamente: quella tra Assad e gli oppositori e quella all’interno degli oppositori stessi tra “moderati” e “violenti”. Ma la novità è che si va verso due risoluzioni Onu. La prima, voluta dalla Russia e dalla Cina, prevede la disponibilità alla consegna delle armi chimiche da parte del regime condizionata alla rinuncia all’uso della forza da parte di Usa, Francia e Turchia. La seconda risoluzione, voluta dagli “alleati”, contempla l’uso della forza qualora ci siano violazioni all’accordo da parte del regime.