In Svizzera circa 25’000 persone convivono oggigiorno con l’Aids
Una ventina di anni fa l’Aids era una nuova malattia e la maggior parte dei malati morivano nel giro di due o tre anni. Françoise Dupont, sieropositiva dal 1986, è invece sopravvissuta al terribile morbo. Un ritratto in occasione della giornata mondiale della lotta all’Aids.
Il numero dei casi di contagio da virus HIV è diminuito del 17% dall’inizio del 2000. È quanto risulta dall’ultimo rapporto pubblicato dalle Nazioni unite in occasione della giornata mondiale dell’Aids, che ricorre, come ogni anno, il 1° dicembre. Secondo gli esperti, non è tuttavia il caso di abbassare la guardia.
Nonostante i progressi compiuti a livello terapeutico, l’Aids rimane infatti una malattia estremamente grave. Lo testimonia anche Françoise Dupont (nome modificato dalla redazione). La 49enne donna residente nel canton Zurigo lavora tre giorni alla settimana in un asilo-nido. “Di più non posso lavorare. Sono tuttavia già molto contenta di poterlo fare ancora oggi”.
Un terribile shock
Françoise Dupont è stata contagiata negli anni ’80, probabilmente quando frequentava il centro autonomo giovanile AJZ di Zurigo. Erano anni un po’ “selvaggi”, in cui si era formato un ampio movimento di contestazione tra i giovani zurighesi.
“Dopo aver notato alcuni sintomi, nel 1986, all’età di 26 anni, mi sono sottoposta ad un test del virus HIV. Il risultato non lasciava dubbi: sieropositiva. Uno shock terribile, che mi ha totalmente traumatizzata. In situazioni simili, la mente non è più in grado di riflettere, di capire cosa sta succedendo”.
A quei tempi l’Aids era una malattia nuova, un fenomeno che sembrava circoscritto agli ambienti omosessuali. “Rispetto ad oggi, allora non si sapeva ancora molto di questa malattia. Si sapeva soltanto che la maggior parte dei malati non sopravvivevano più di due o tre anni. Chi era contagiato, guardava quindi la morte negli occhi”, ricorda Françoise Dupont.
Volontà di sopravvivenza
Come molti altri ammalati, anche la donna zurighese aveva rischiato di lasciarsi andare, di perdere ogni coraggio di vivere. “Una forza interiore mi ha spinta a lottare. Mi sono detta: non voglio morire di Aids, voglio continuare a vivere. Ripetevo continuamente queste parole, soprattutto ogni qual volta mi sentivo più debole”.
“Spesso mi svegliavo durante la notte completamente bagnata di sudore. La stanchezza aumentava di giorno in giorno e avevo perso ogni energia. Cominciavo a trattarmi come un bambino”, aggiunge Françoise Dupont.
Negli anni seguenti, per rafforzare il sistema immunitario, si era messa a sperimentare una lunga serie di terapie, soprattutto nel campo delle medicine alternative. Nonostante la malattia, la zurighese non ha mai smesso di lavorare.
“Quando ho saputo di essere sieropositiva, mi sono chiesta: a chi posso dire che ho l’Aids? Il mio partner di allora, un medico, mi ha abbandonata per timore di contrarre a sua volta il virus. E molta gente che mi stava attorno, ha reagito allo stesso modo”.
Problema sociale
A quei tempi, l’Aids faceva paura a molte persone. Françoise Dupont si è vista così costretta a selezionare molto attentamente le sue amicizie. “Per me era chiaro: per evitare di ritrovarmi completamente isolata dovevo trovare delle persone che sopportavano l’idea di stare con una donna sieropositiva”.
Françoise Dupont si è così rivolta all’associazione Aiuto Aids Svizzera, appena creata da pochi anni. Grazie alla rete di contatti offerta da questa organizzazione, ha poi creato con altri ammalati il primo gruppo svizzero di autoterapia. “Questo gruppo è però durato soltanto due anni: la maggior parte dei suoi membri sono morti infatti nel giro di poco tempo”.
Erano anni molto difficili, ricorda ancora la donna. “Ci sentivamo estremamente esclusi. Nei media vi era addirittura chi proponeva di trasferire tutti i malati di Aids su un’isola. Durante i nostri incontri ci siamo spesso ubriacati, ci raccontavamo le barzellette più tremende che circolavano sull’Aids. Cercavamo di rimuovere le nostre paure, facendo ricorso ad un po’ di cinismo”.
Una vita con i medicinali
Negli anni ’90 le prime terapie, a base del farmaco AZT, erano ancora in una fase sperimentale. “Molte persone si sono avvelenate, ingerendo AZT. I sieropositivi ricevano spesso dosi troppo grandi. Sembravano tutti uscire da un campo di concentramento”.
Oggi i farmaci impiegati per la terapia dell’Aids sono alquanto migliorati. Grazie ai progressi della medicina, la mortalità si è notevolmente ridotta tra le persone che hanno contratto il virus HIV. Nonostante un certo scetticismo nei confronti della medicina tradizionale, anche Françoise Dupont fa uso regolarmente di queste terapie, quando le sue condizioni di salute peggiorano.
Una vita con questi medicinali è tutt’altro che divertente, rileva la donna. “Bisogna imparare a vivere con gli effetti collaterali provocati dai farmaci. Ma sussistono ancora molte incognite sul loro impiego e si è quindi molto spesso confrontati a sentimenti di panico”.
Discriminazioni
“Durante i congressi sulla lotta all’Aids, si chiede spesso perché solo poche persone osano riconoscere di aver contratto la malattia. Ma ancora oggi le persone sieropositive vengono spesso discriminate dalla nostra società”, osserva Françoise Dupont.
“Nell’insieme ritengo però che la mia vita sia degna di essere vissuta. Non posso dire se potrò vivere fino a 50, 60 o 70 anni. Ma cerco di vivere in modo più intenso, dal momento che ho capito che la vita non è garantita”.