Dopo le rivelazioni sullo “spionaggio” telefonico e la violazione delle carte di credito e simili, il New York Times ha rivelato l’esistenza di archivi contenenti il Dna di migliaia di persone. Fra dieci anni il Dna di ognuno sarà di fatto dominio di tutti o, almeno, di quelli che contano (polizia, tribunali, industrie ed Enti vari).
La Corte Suprema americana ha sentenziato che la polizia può legalmente conservare senza limiti di tempo il Dna di soggetti coinvolti in un caso senza l’obbligo di notificare nulla a nessuno. Un celebre giurista docente di Harvard, Alan Dershowitz, ha detto: “Se oggi New York varasse una legge in tal senso (cioè sulla liceità di detenere negli archivi della polizia, ndr), nessun tribunale si opporrebbe, inclusa la Corte Suprema”. Di fronte a questa prassi, iniziata molti anni fa, ma negli ultimi tempi a tal punto diffusa che si può dire con Alan Dershowitz che “entro dieci anni il Dna di tutti gli abitanti del pianeta sarà prelevato e conservato negli archivi governativi sin dalla nascita”, il New York Times è insorto ed ha così commentato la situazione: “Dai il tuo Dna alla polizia per scagionarti, perché hai avuto una rapina in casa tua e devi aiutarli a non confondere il tuo materiale genetico con quello dei criminali. Poi scopri che quel tuo campione viene conservato per sempre e verrà utilizzato nelle indagini per altri reati. Se non è questa una violazione della privacy, non so quale possa essere”.
Dunque, andiamo verso un mondo orwelliano e sembra che non si possa fare gran che per evitarlo. Oggi siamo schedati se telefoniamo, se giochiamo al computer, se scriviamo e comunichiamo con altri. Inseriamo la carta bancaria nel bancomat e subito si sa ciò che facciamo e quanto abbiamo. Passiamo per una stradina e immancabilmente c’è una telecamera che ci riprende e la notizia che eravamo là a quell’ora e con chi può divenire di dominio pubblico e arrivare all’orecchio e all’occhio di nostra moglie o di nostro marito.
E’ un bene o un male? Il dibattito è proprio questo e come sempre le opinioni sono contrastanti, ma alla fine si arriva alle medesime conclusioni di quelle che hanno riguardato tutte le novità scientifiche: dipende dall’uso che se ne fa. Se la polizia o altre istituzioni disponessero di tutti i Dna di tutti i cittadini sarebbe un bene per determinati ambiti e un male per altri. Tanto per essere concreti: l’assassino di Yara Gambirasio sarebbe già stato da tempo assicurato alla giustizia, mentre ora si conosce il Dna dell’assassino e non si conosce la sua identità. Tanti casi dubbi sarebbero risolti, tanti innocenti non rimarrebbero in prigione. Non solo. Il fatto di essere schedato, visto, controllato, sarebbe un ottimo deterrente contro la tendenza a non essere onesti. Ma c’è anche il “contro”. E se quei dati venissero usati per conoscere la condizione medica di un soggetto e magari per negargli un posto di lavoro? Oggi, come abbiamo visto con Angelina Jolie, si può analizzare il Dna per scoprire la percentuale di rischio di contrarre determinate malattie. Queste conoscenze sarebbero delle armi micidiali in possesso di chi ne volesse fare un uso distorto o criminale. Sarebbe così anche nel campo dell’eredità, di una polizza di assicurazione o di altri, numerosi ambiti.
Dunque, il problema esiste ed è serio, anche perché le possibilità di divulgazione del Dna di ognuno per altri fini che non quello poliziesco sarebbe enorme e pregiudizievole dei diritti individuali. E’ evidente allora che ci vuole una legge che regolamenti tutta la materia e fissi dei paletti su cosa è lecito schedare e cosa non lo è e stabilisca sanzioni adeguate, sapendo bene, tuttavia, che oggi, più di ieri, i segreti, anche quelli superprotetti, possono benissimo essere quelli di pulcinella.