Le condizioni di lavoro, le condizioni meteorologiche, le condizioni di salute quelle economiche e sociali. Le condizioni risolutive sono le migliori, quelle fortuite sono le più inaspettate, mentre le condizioni disagiate sono quelle che non vorremmo mai subire. Se diamo uno sguardo alla cronaca attuale, possiamo vedere come le “condizioni” di qualunque natura possano avere effetti determinanti sugli eventi e sulla vita delle persone.
Per esempio, in che condizione versa un individuo che si scaglia in maniera violenta contro chi si adopera per aiutarti? Pensiamo alle immagini amatoriali girate nella corsia di un ospedale italiano, quando degli operatori sanitari, medici e infermieri, si sono dovuti letteralmente barricare in una stanza per sfuggire dalla furia dei parenti di una paziente che, purtroppo, non era sopravvissuta dopo un intervento. Questo è accaduto in Italia lo scorso settembre presso il Policlinico Riuniti di Foggia, avvenimento che ha fatto scalpore per le immagini del personale sanitario che ha cercato rifugio rinchiudendosi in una stanza, per non subire l’aggressione di persone accecate dalla rabbia e dal dolore. Ma questo non accade solo in Italia, anzi, purtroppo non si tratta di un esasperato episodio isolato, ma sembra essere un fenomeno diffuso perfino in Svizzera dove il personale sanitario è sempre più esposto alla violenza e alle aggressioni dei pazienti. Si parla di aggressioni nelle corsie ospedaliere svizzere che negli ultimi tre anni si sono addirittura raddoppiate e ormai hanno una frequenza giornaliera. In che condizioni un medico si sente sereno a svolgere il proprio lavoro?
Condizioni sicuramente estreme, invece, sono quelle che fanno partire i migranti da determinati Paesi per scappare da situazioni critiche, pericolose e di guerra, sperando di approdare in “porti sicuri”, come l’Italia. Quando, però, questo che loro considerano un “porto sicuro” non può più accoglierli, li deporta in Albania che, per contratto tra i due premier, Giorgia Meloni e Edi Rama, ha organizzato centri per ospitare migranti “maschi, non vulnerabili e provenienti da Paesi sicuri”, per poi essere rimpatriati. Succede che 12 di questi migranti non sono nelle condizioni di essere rimpatriati perché per i magistrati italiani i Paesi da cui provengono (Bangladesh ed Egitto) non sono “Paesi sicuri” e dunque devono essere riportati in Italia. Pare che il problema sia nello stabilire quando un “Paese” possa definirsi sicuro o meno. Secondo il ministro della Giustizia Nordio, “la definizione di Paese sicuro non può spettare alla magistratura, è una valutazione politica pur nei parametri del diritto internazionale”, così dice lui alzando non poco i toni di una diatriba tra Governo italiano e Magistratura, toni che non avevano mai raggiunto questi livelli. Chi può mai decidere sulle condizioni di sicurezza di un Paese? E soprattutto, come è possibile decretare sulle condizioni di un individuo che rischia la propria vita nel viaggio della speranza e viene rimbalzato da un posto all’altro?
Le condizioni sono importati, soprattutto se imposte. Lo capiamo ancora di più oggi quando leggiamo dalle agenzie americane che ci sono delle condizioni precise per porre fine al conflitto in Libano. A dettare queste condizioni è lo Stato Ebraico, che in un documento stila i presupposti per discutere di una possibile soluzione diplomatica al conflitto in atto.
Israele richiede il “controllo attivo” delle IDF, che Hezbollah non sia militarmente presente nel sud del Libano, al confine con Israele, e che le forze aeree di Israele abbiano piena libertà nello spazio aereo libanese. Ma è difficile che il Libano accetti queste condizioni così fortemente minatorie della sovranità del proprio Stato.
E che dire, invece delle condizioni nelle quali si trova oggi la gente in Emilia Romagna? La regione ha affrontato la terza alluvione in un anno e mezzo, con un bilancio di 3 mila persone evacuate, famiglie scampate al disastro, case invase dal fango, imprese ed esercizi commerciali distrutti, perfino un morto, un giovane di 23 anni travolto da un’ondata del Rio Caurinzano a Botteghino di Zocca, frazione di Pianoro (Bologna).
In che condizioni si può pensare ancora di vivere sotto la perenne minaccia che una pioggia un po’ più forte possa spazzare via la propria vita?
Redazione La Pagina