Risse e scambi di accuse nei congressi provinciali del Pd, dove lo scontro avviene anche con i pacchetti di tessere. Casini e Mauro in minoranza in Scelta civica
E’ sempre altalena nel Pdl-Forza Italia. Si alternano e convivono i contrasti e la voglia di unità. Il Consiglio nazionale per la ratifica del passaggio dal Pdl a Forza Italia è convocato per l’8 dicembre, ma Berlusconi è intenzionato ad anticiparlo alla metà di novembre. Motivo? Avrebbe già raccolto i due terzi dei membri necessari per l’approvazione finale della decisione. Anche se le cifre sono ballerine, il grosso del partito è con l’ex premier. In ogni caso, il passaggio dal Pdl a Forza Italia è ormai cosa acquisita, da tutti, anche dai governativi, che riconoscono anch’essi in Berlusconi l’unica leadership condivisa. Ed allora, su quali punti vertono i contrasti, che potrebbero sfociare anche in una scissione? Sulla linea politica nei confronti del governo. I governativi, circa 24 senatori e altrettanti deputati, hanno sposato la linea istituzionale che poggia sui seguenti punti. In primo luogo, la fiducia al governo Letta: niente fibrillazioni, niente tensioni. Se cade, l’Italia ritornerebbe nel caos, si perderebbe quel poco o molto fatto finora per tenere i conti a bada. In secondo luogo, la difesa delle conquiste fatte. La legge di Stabilità, secondo i governativi, è il massimo ottenibile possibile, anche perché segna una svolta rispetto ai tempi recenti: tagli alla spesa pubblica e nessuna ulteriore tassazione e anzi minori tasse, seppure di piccola entità. In terzo luogo, anche in presenza della decadenza del leader, meglio stare al governo che all’opposizione, perché in quest’ultimo caso il Pdl-Forza Italia avrebbe tutto da perdere. Insomma, dicono Alfano e i suoi, sfiduciare il governo non solo non comporterebbe automaticamente lo scioglimento delle Camere (una maggioranza, per quanto raffazzonata e per alcuni mesi, si troverebbe sempre), ma addirittura un isolamento politico del centrodestra che, pertanto, avrebbe non più ma meno potere.
I cosiddetti lealisti e Berlusconi in primo luogo apprezzano la voglia di unitarietà, essi stessi non sono per principio contro la fiducia al governo, ma fanno notare che non è vero che la legge di Stabilità sia fatta di minori tasse. Ci sarebbero più tasse per circa un miliardo. Qui, evidentemente, c’è la guerra delle cifre. Il miliardo ballerino dipende da tante variabili, tra cui le tasse sulla casa, perché se non si pagherà (o non si dovrebbe pagare) più sulla prima casa (vantaggio), si potrebbero pagare di più le altre tasse connesse (svantaggio). I più, non solo del Pdl, ma anche di altri partiti, dicono che nel 2014 ci saranno più tasse. Poi c’è la questione delle decadenza e più che su questa sulla totale chiusura del Pd a far decidere la Corte Costituzionale sulla vera interpretazione della legge Severino, nonché sulla mancanza di rispetto dei patti da parte del Pd a proposito dell’elezione con una maggioranza variabile di Rosy Bindi a presidente dell’antimafia mentre quel posto era riservato a un membro dei Scelta civica.
Sul fronte del Pd, impegnato nei congressi provinciali, se Renzi sta andando verso un successo strepitoso – almeno secondo i media – il candidato della sinistra Gianni Cuperlo ce la sta mettendo tutta per arginarne il successo e anzi per vincere lui stesso. E’ difficile che ce la faccia, ma dai primi dati sembra che gran parte dell’apparato stia facendo quadrato su di lui.
In realtà, sta emergendo un quadro non proprio idilliaco dello scontro interno al Pd. In pratica – e della cosa si occuperà la Commissione ad hoc – la lotta per il potere interno si sta svolgendo con colpi bassi. Nell’imminenza delle votazioni si è assistito ad un aumento sospetto dei tesserati (900 mila mentre i tesserati sono 500 mila). In pratica, l’incremento dei tesserati si spiega con i pacchetti di tessere che si stanno verificando in diverse città italiane, da nord a sud, con le costrizioni e i ricatti (sarebbero costretti a votare dipendenti obbligati a farlo sotto pena di essere licenziati da parte di imprenditori candidati alle cariche interne). Inoltre, la lotta per il potere interno si è svolta con episodi di violenza (pugni e schiaffi tra candidati e supporters) e brogli elettorali. Non è uno spettacolo esaltante. In passato tali spettacoli ci sono sempre stati, ma riguardavano altri partiti, ora ci sono anche nel Pd, Avendo, però, tutti deciso che il tesseramento doveva continuare ad essere fatto, nessuno dei candidati, da Renzi a Cuperlo, da Civati a Pittella, ha voluto bloccarlo. Insomma, il Pd si avvia, a volte con queste manifestazioni di vivacità, a ridisegnare la mappa del potere interno e ad indicare l’idea di partito che i teserati e gli elettori vogliono per i prossimi anni.
Dedichiamo a Scelta civica di Monti l’ultimo paragrafo del panorama politico della settimana. Scelta civica non ha fatto parlare di sé negli ultimi giorni. Casini e Mauro non hanno costituito un gruppo autonomo al Senato (dove sono necessari 10 senatori), probabilmente per due motivi. Uno, che non sono riusciti a raggiungere quel limite. Qualche senatore che aveva firmato la lettera degli undici favorevoli alla fiducia senza “se” e senza “ma” deve essersi pentito. Due, che la maggioranza attorno a Monti deve essersi ricompattata, lasciando soli Casini e Mauro, costretti, dunque, a fare buon viso a cattivo gioco, tanto più che sembra (sembra, ma non è detto) che i governativi del Pdl-Forza Italia non stiano rispondendo come Casini e Mauro avrebbero voluto.
Insomma, in Sc Casini e Mauro si sono ritrovati su posizioni minoritarie, ma le parole grosse volate sono dei macigni sulla strada della ricomposizione.