Soddisfazione ed amarezza: sono questi gli stati d’animo stampati sul volto di chi ha ascoltato la sentenza sul crac Parmalat e di chi ha subìto danni perché aveva investito i suoi risparmi e poi si è ritrovato a possedere titoli che erano diventati carta straccia. La soddisfazione c’è stata per la condanna a 18 anni inflitta a Calisto Tanzi, l’autore del crac; l’amarezza, perché la sentenza ha previsto anche il risarcimento, inadeguato però, al recupero dei risparmi.
Ma procediamo con ordine. Il tribunale di Parma ha condannato Calisto Tanzi, come detto, a 18 anni per associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta. Le altre condanne vanno dai 14 anni all’ex direttore finanziario Fausto Tonna, ai 10 del fratello di Tanzi, Giovanni. Altri nomi di altri condannati dicono poco ma, quel che è importante, è che tutti hanno ricevuto il corrispondente di ciò che avevano fatto.
Il verdetto in anni di carcere ai colpevoli ha accontentato i danneggiati, i quali si sono visti riconoscere le loro ragioni, almeno quelle di semplici cittadini. Calisto Tanzi, patron di Parmalat, in sostanza aveva fatto carte false nei conti delle sue aziende, facendoli apparire in ordine mentre invece non lo erano.
Il guaio fu che a sparire furono anche i soldi, provocando danni all’azienda, ai creditori, alle banche e ai risparmiatori che dal 1990 in poi avevano investito sui titoli Parmalat quotati in borsa e che di colpo, col crac, si ritrovarono con titoli senza alcun valore.
A carico di Tanzi ci sono due processi. Uno, quello in cui è accusato di aggiotaggio (cioè manovre tendenti a gonfiare artificiosamente titoli in Borsa per trarne vantaggio) e che lo vede condannato a 8 anni in secondo appello (manca solo il terzo giudizio, quello della Cassazione); e quello della settimana scorsa, che riguarda il crac di Parmalat, per il quale ha rimediato, appunto, 18 anni. Si tratta del primo grado di giudizio, ma si prevede che nei successivi gradi, per quanto possa, forse, ottenere degli sconti, comunque non la passerà liscia.
La sentenza arriva dopo 75 udienze e 3 milioni di atti. Il crac Parmalt è stato definito “la più grande fabbrica di debiti del capitalismo europeo”, debiti finalizzati a continuare attività che ad un certo punto non sono riuscite più a coprire gli scoperti; e così c’è stato il crac. Prima, però, Calisto Tanzi, aveva fatto spregiudicate operazioni di Borsa trascinando nel crac anche i risparmiatori.
La sentenza, come anticipato, prevede anche risarcimenti. Il tribunale ha stabilito una provvisionale da due miliardi per la nuova Parmalat guidata da Enrico Bondi, destinando ai 35 mila risparmiatori il 5% del valore nominale delle obbligazioni sottoscritte. Se si considera che l’ammontare di queste ultime è di 600 milioni, si capisce che il 5% si aggira sui 30 milioni, il che significa che i risparmiatori recupereranno ben poco di quello che hanno perso.
Gli esperti del settore calcolano che il recupero, per effetto dei meccanismi che regolano i creditori senza garanzie e creditori privilegiati (cioè fisco e banche), si aggirerà sul 24% delle somme investite. C’è solo una labile speranza: che vengano ritrovati i tesori nascosti di Calisto Tanzi.
Già nel dicembre dell’anno scorso dalla Guardia di Finanza vennero ritrovate varie opere d’arte, di cui qualcuna di grandi autori come Picasso, di proprietà di Tanzi, nascoste presso prestanomi o parenti o comunque in luoghi segreti. Ovviamente, la vendita di queste opere offre speranze ai risparmiatori truffati di riavere qualcosa, ma per recuperare tutto ci vorrebbe un miracolo.
L’iter processuale è ancora lungo, almeno per questo filone del crac Parmalat. Per l’altro processo, come detto, la sentenza definitiva è in dirittura d’arrivo, quindi fra pochi mesi il quadro accusatorio dovrebbe assumere forme più precise e certe.
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