D’Alema pensa che Bersani sia il solo responsabile della situazione di stallo e che stia portando “il partito alla rovina”
Il messaggio di Renzi (“sono pronto”) contenuto nella sua intervista al Corriere, ha suscitato una sorda e sotterranea avversione verso di lui da parte della maggioranza di Bersani, ma fatto emergere molti malumori nei confronti del segretario che, a giudizio di D’Alema, “sta portando il partito alla rovina”. D’Alema non è il solo ad aver preso le distanze da Bersani. Tra l’altro, gli rimprovera l’eccessivo cedimento a Grillo, antipolitico, populista e antieuropeista, e la responsabilità dello stallo pericoloso che sta facendo emergere uno scontento sociale difficilmente arginabile, in più il peso del rifiuto del dialogo con chi ha gli stessi voti del centrosinistra. Ad uscire allo scoperto è stato anche Dario Franceschini, il quale sostanzialmente ha detto le stesse cose di Renzi, e cioè che se Grillo risponde di no all’offerta di Bersani, non restano che due altre vie: o le elezioni o il dialogo con Berlusconi.
Franceschini, però, non si limita ad una scelta, la spiega con le stesse parole con cui in tanti negli anni scorsi l’hanno spiegata: “Se noi intendiamo mettere davanti l’interesse del Paese, dobbiamo toglierci di dosso questo insopportabile complesso di superiorità, per cui se l’avversario ti piace ci parli, altrimenti non ci parli nemmeno”, aggiungendo una cosa ovvia in politica “la destra è ancora Berlusconi, e la sua sconfitta deve avvenire per vie politiche. Non per vie giudiziarie o legislative (alludendo alla legge sulla ineleggibilità del Cavaliere che tanti nel Pd vorrebbero presentare a sostegno del gruppo di Micromega, ndr).
Giusto per dare un’idea del clima di contrasti che vive il Pd, citiamo l’intervento di un intellettuale di area, Antonio Polito, che sul Corriere della Sera di domenica ha scritto: “Il gruppo dirigente che si raccoglie attorno a Bersani ha letto il voto come il segno di un’epocale svolta a sinistra dell’elettorato italiano, che avrebbe premiato Grillo solo perché il Pd sarebbe stato troppo timido nel suo pur antico anti-berlusconismo. Non si spiegherebbe altrimenti perché prima ha offerto al M5S la testa di Berlusconi (ineleggibilità vent’anni dopo e arresto appena possibile), e perché oggi punti a tornare nella direzione da cui proviene fondendosi con Vendola e affidandosi a Barca”. Polito concorda con Renzi e con Franceschini e conclude: “ (l’elettorato) non premierà chi è più zelante nel dannare il nemico, ma chi è più efficace nel salvare la casa comune. Pd e Pdl sono condannati a ricostruire insieme una democrazia funzionante”.
Il pressing di Renzi-Franceschini, sostenuto da molti leader del Pd anche se per adesso non si traduce ancora in muro contro muro alla luce del sole, ha costretto Bersani e la sua maggioranza a compiere mezzo passo avanti e uno indietro nei confronti del centrodestra. In un’intervista apparsa sul Corriere della Sera domenica scorsa, Roberto Speranza, neo eletto presidente del gruppo Pd alla Camera, è costretto ad ammettere che “la legittimazione di Berlusconi arriva dai voti, i nostri non sono di serie A e i loro di serie B”, ma poi diluisce l’apertura in un’acrobazia pseudopolitica. Dice, infatti, Speranza: “Quello che è chiaro è che l’alternativa non può essere voto anticipato o alleanza stretta tra Pd e Pdl.
Chiusa la prospettiva di un governo Bersani sostenuto al Senato da Grillo o da un suo gruppo, quindi di un governo comunque impossibile, l’obiettivo di Bersani resta una prospettiva senza grandi possibilità di successo. In pratica, Bersani vorrebbe il via libera di Berlusconi – anche uscendo dall’aula per abbassare il quorum – ma senza personalità di centrodestra nel “suo” governo e proponendo una rosa di nomi all’interno della quale scegliere in maniera condivisa il presidente della Repubblica, che comunque non può essere uno di centrodestra. Insomma, una proposta impossibile da accettare da parte di Berlusconi, in quanto ispirata dal principio: io mi prendo tutto e tu devi essere d’accordo.
La controproposta di Berlusconi non s’è fatta attendere: sostegno ad un governo Bersani anche senza ministri, ma il presidente della Repubblica ad una personalità di centrodestra. Dopo il no di Bersani, Berlusconi gli ha ribattuto: il presidente della Repubblica ad uno del centrosinistra, ma allora ministri di centrodestra nel governo con un accordo di maggioranza, di due anni o di legislatura. Bersani deve rispondere ma, come ha sottolineato Polito, in caso di ascesa di Renzi nel Pd e/o nel governo, sta mandando avanti Fabrizio Barca (attuale ministro di Monti e, pur non iscritto al Pd, personalità che si definisce elemento di unione tra la sinistra del Pd e le posizioni di Vendola) per controbilanciare l’area di Renzi.
C’è chi teme una scissione a destra ad opera di Renzi (se Bersani continua nello stallo) o una scissione a sinistra, se Renzi diventerà l’uomo forte del Pd. Un fatto è certo, l’ascesa di Renzi non è solo mal vista da Bersani, che verrebbe spodestato e ridotto a posizione marginale, ma anche paradossalmente da Berlusconi, il quale da un avversario come Renzi avrebbe tutto da temere e mostra di saperlo benissimo. Di qui, logica vorrebbe che tra Bersani e Berlusconi si mettesse una pietra sul passato e iniziasse un’alleanza concordata e seria per il bene dell’Italia.
Siamo ritornati così al punto di partenza, con Berlusconi che offre i voti del centrodestra e un programma in otto punti tra cui l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, senza rivendicare nessun ruolo istituzionale o di governo per sé, e Bersani che apre per tattica e chiude per convinzione. Lo stallo, appunto.