Lo scenario è tipico: le acque del Canale di Sicilia. Qui la nave della ONG spagnola Proactiva Open Arms salva 218 persone e si rifiuta di consegnarle alla guardia costiera libica contravvenendo a quanto era stato comunicato dalle autorità italiane alla Proactiva, ovvero che sarebbero stati i libici a gestire il soccorso secondo l’accordo concluso con il governo libico. La Proactiva attracca a Pozzallo e viene posta sotto sequestro dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro e i tre membri dell’equipaggio si ritrovano indagati con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver rifiutato di consegnare i migranti ai libici nel timore che subissero violenze nei campi di detenzione in Libia. Per ironia della sorte, da soccorritori i membri dell’equipaggio della nave si ritrovano a essere considerati dei criminali. Dal mare alla montagna: cambia lo scenario, ma la storia è la stessa. Questa volta a trovarsi nei guai è una guida alpina francese che nel confine tra Italia e Francia, nei pressi del passo di Monginevro, a 1900 metri d’altezza, ha soccorso una famiglia di migranti che cercava di oltrepassare i confini francesi. La famiglia è composta da due bimbi piccoli, di 4 e di 2 anni, il padre e la madre all’ottavo mese di gravidanza. La guardia alpina ha subito caricato la famiglia ed è riuscito a far ricoverare la donna che ha dato alla luce il suo bimbo. La storia della guida alpina francese incriminata per aver salvato una migrante incinta in mezzo alla neve, Benoît Ducos, questo il nome della guida protagonista della storia, fa parte del gruppo “Refuge solidaire”, un gruppo di volontari che perlustra la zona di confine a cavallo tra Piemonte e Savoia per aiutare i migranti che, respinti da Ventimiglia, tentano il tutto per tutto pur di raggiugere la Francia. Dopo questa vicenda però, “il soccorritore rischia una pena fino a 5 anni di carcere per traffico di essere umani” secondo la legge francese e dovrà rispondere del reato di violazione delle leggi sull’immigrazione. Ma la solidarietà può mai essere un reato? Soprattutto se si tratta di solidarietà verso vite umane, situazioni estreme e che riguarda anche le fasce più indifese come i bambini. L’umanità vede il crimine dove c’è tutt’altro negando l’umanità stessa. Dopo la vicenda della guida alpina francese che rischia una condanna fino a cinque anni, Rainbow4 Africa ha lanciato la campagna “Soccorrere non è un crimine”. Che sia in mare o in terra, il soccorso nei confronti di chi ha bisogno è un dovere umano e non ha nulla a che fare con il favoreggiamento all’immigrazione. “Per noi medici e infermieri è imprescindibile che chi è in pericolo, chi ha bisogno, chi è malato debba essere soccorso. E questo soccorso non può essere reato” spiega il dottor Paolo Narcisi, fondatore dell’associazione Rainbow for Africa e coordinatore della missione «Freedom Mountain». Il soccorso è un atto di umanità, “al di là dei confini e del fatto che sia reato immigrare clandestinamente”.
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