Nei giorni scorsi la notizia di un timido aumento della produzione industriale ha fatto gridare al miracolo chi – anche se non sono tanti – si appiglia a dati aleatori pur di dimostrare che la crisi è alle spalle e che il futuro diventa roseo. Le ipotesi poi del Pil a un più 0,50 o all’1% manda addirittura in sollucchero chi è abituato a piegare le cifre a proprio uso e consumo. La realtà è che la crisi non è affatto dietro le spalle, che anche se ci sarà un segno positivo del Pil, la disoccupazione crescerà ancora per molti mesi e le condizioni di vita e di lavoro della gente comune sono destinate ancora ad essere gravi.
Ma il punto non è questo o non è questo soltanto. Purtroppo, in Italia non c’è solo la crisi economica, c’è soprattutto la crisi dei valori, il che significa che anche se l’economia comincerà a tirare di nuovo, da noi sarà sempre emergenza in quanto il buon andamento dell’economia comunque sarebbe vanificato da una diffusissima rete di comportamenti anomali o, per essere più chiari, moralmente e penalmente gravi. Se di colpo sparisse il debito pubblico, se improvvisamente l’economia cominciasse a tirare come una locomotiva, se dalla sera alla mattina venissero creati due milioni di posti di lavoro, ad approfittare di questo sogno non sarebbe la gente comune, quella che adesso vive con alcune centinaia di euro al mese, ma una schiera enorme di soliti noti per i quali la crisi non è mai esistita e non esisterà mai.
E’ stato pubblicato il dossier della Guardia di Finanza che fotografa il mondo del lavoro e delle professioni. Questo dossier rivela – ma questa realtà è nota da cinquant’anni – che i professori e i ricercatori universitari svolgono consulenze di lavoro per società private o doppi e tripli lavori; che la stessa cosa fanno gli alti e meno alti funzionari di Enti pubblici, della Pubblica amministrazione, della Motorizzazione civile, delle Asl, degli ospedali, dei Comuni, delle Province, delle Regioni, perfino dell’Ufficio delle Entrate. Si tratta di centinaia di migliaia di persone pagate dallo Stato, che per gli altri incarichi o occupazioni spesso percepiscono soldi in nero e che, di conseguenza, per svolgere questi secondi lavori, utilizzano l’orario di lavoro alle dipendenze dello Stato o degli Enti pubblici. Truffano lo Stato perché non lavorano e lo truffano più volte con i soldi in nero percepiti da società private.
Gli sprechi non sono solo i rimborsi elettorali ai partiti, sono anche e soprattutto il mancato controllo dell’orario di lavoro (assenze/presenze) e di ciò che sul posto di lavoro si fa (o piuttosto non si fa).
Se non si fa una riforma seria e radicale del mercato del lavoro che certifichi con controlli e ispezioni presenze e produttività del dipendente, con le relative sanzioni per il dipendente e per chi, dovendo controllare, non lo fa, spesso per complicità; se non si adottano le regole della correttezza individuale e collettiva in vigore una volta, negli anni Sessanta per intenderci, in Italia e in vigore da sempre nei Paesi del Centro e del Nord Europa (la Svizzera ne è un esempio), qualsiasi aumento di ricchezza se lo divideranno sempre queste centinaia di migliaia di persone abituate a farlo in questi ultimi 40 anni. Un esempio per tutti. E’ venuto fuori che il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, soprannominato “mister poltronissima”, svolge ventiquattro incarichi per oltre un milione di euro all’anno. Come fa a svolgerli tutti e 24? E’ noto che così avviene per i parlamentari, consiglieri regionali, funzionari statali, eccetera.
Se non si impone il rispetto di nuove, corrette regole di comportamento nel mondo del lavoro, la buona congiuntura non si tradurrà in benessere generalizzato ma solo in profitti privati di un’ampia cerchia di categorie sociali, come d’altra parte è finora avvenuto e che è la vera causa dell’emergenza italiana.