Anche i media entrano in gioco nel conflitto russo-ucraino, che ormai ha tutte le caratteristiche di una guerra asimmetrica: combattuta in terra-mare-cielo, ma anche sui social, l’odierna coscienza del mondo.
Dell’argomento si occupa il recentissimo studio “Smascheriamo le false notizie che alterano la realtà sulla crisi ucraina” in cui il World Economic Forum-WEF, centro di studi socio-economici basato nel Canton Ginevra, riprende le considerazioni della professoressa Paula Dootson e dei colleghi T.J. Tomson e Daniel Angus, docenti presso la australiana Queensland University of Technology.
Nel conflitto ucraino, avvertono gli esperti, la disinformazione mediatica avviene principalmente via social.
Spesso immagini d’archivio sono proposte come breaking news, attualità di giornata, da portali di dubbia reputazione, e poi inevitabilmente riprese dai vari Telegram, Facebook, Twitter, e TikTok.
Ad esempio, nei giorni scorsi proprio TikTok ha postato, ma subito rimosso, delle vecchie riprese di esercitazioni aeree spacciandole come incursioni sovietiche nei cieli ucraini.
Sono proprio i contenuti visivi, ricordano gli studiosi, che oggi riescono facilmente ad ingannare il pubblico.
Inoltre, almeno nel mondo occidentale, è certo che alla base di attività disinformative troviamo non solo interessi politici ma anche e soprattutto motivazioni economiche, dato che proprio le notizie scandalistiche sono il principale attrattore delle inserzioni pubblicitarie.
Già nel 2018, sottolineano gli esperti, l’autorevole periodico Digital Journalism, commentando la elezione Donald Trump segnalava che è controproducente, sia pure in una prospettiva strettamente commerciale, la convivenza di pubblicità ingannevole e pubblicità veritiera, perché nel confronto è sempre quest’ultima a perderci.
Ma quali le motivazioni alla base delle false informazioni giornalistiche, le fake news? “Le patologie disinformative”, ricordano gli accademici della Queensland University of Technology richiamando una ricerca dell’UNESCO, l’agenzia ONU che tutela educazione, la cultura e la scienza, “disorientano, alterano ed inaspriscono il dialogo sociale, seminano discordia, ed in aggiunta polarizzano ed esasperano i toni del confronto. Questo è tipico dei paesi lacerati da irreversibili disparità socio-economiche, ed ormai in ostaggio della propaganda”.
Il pubblico come può riconoscere e difendersi da queste patologie?
Per le immagini di archivio spacciate come notizie di cronaca, che è poi la più comune forma di disinformazione, gli esperti invitano gli utenti a cercare la medesima foto su diversi portali: sovente la si trova commentata e riferita a circostanze totalmente estranee.
Altro espediente usato dai media sovietici, è riproporre immagini di archivio, ad esempio di veicoli distrutti, spacciandole per breaking news.
Il pubblico si può ingannare anche alterando la prospettiva di una ripresa.
Con le più elementari applicazioni di ritocco fotografico, un assembramento di persone oggi può essere minimizzato da una ripresa in primo piano; il che non avverrebbe, ad esempio, con una panoramica dall’alto.
A difesa di una corretta informazione sono attive numerose organizzazioni di giornalisti investigativi, che proprio in tema di conflitto ucraino regolarmente sbugiardano i reportages proposti dai media sovietici.
Obiettivo di questi consorzi, è invitare gli spettatori ad una analisi critica dei contributi visivi, piuttosto che arrendersi alla semplice analisi logica.
I dipartimenti di ricerca dei media sociali nelle loro attività di contrasto alla propaganda faziosa usano anche l’intelligenza artificiale-AI per poi contrassegnare con banner, dei segnalibri visivi, l’inattendibilità di determinate notizie.
E qui siamo al punto: il singolo individuo, lettore, telespettatore o internauta che sia, in concreto a cosa deve prestare attenzione?
Premesso che anche nel mondo dell’informazione è sempre obbligatorio verificare i fatti oltre l’apparenza, gli studiosi invitano di premunirsi di doveroso scetticismo.
Innanzitutto, è necessario controllare i metadati, il codice genetico che rende tracciabile in forma nascosta ogni singola foto.
Nel caso di immagini postate da Facebook o Twitter, che nelle loro piattaforme cancellano il DNA digitale dei contributi visivi, basta cercare la medesima immagine su differenti siti; oppure verificarla sui link di consorzi giornalistici affidabili come l’Agence France Presse-AFP, o magari anche ricorrendo a Google Images.
Inoltre, cercate gli errori nelle riprese.
Controllate l’angolazione delle ombre, la prospettiva, persino l’ora segnata da un orologio.
Facciamo un esempio: recentemente i media sovietici hanno pubblicato la foto di un’importante riunione di governo svoltasi al Cremlino.
Presenti due massimi dirigenti, ripresi uno accanto all’altro.
Dettaglio rivelatore: l’orologio di ciascuno segnava un’ora completamente diversa dal collega.
Infine, se tutto questo ancora non bastasse a scoprire una fake news, al pubblico non resta che tornare alla regola base del giornalismo: interrogarsi sul chi-cosa-dove-quando-perché, e soprattutto come è nata una notizia.
Anche in queste indagini l’intelligenza umana può allearsi con quella artificiale, oppure servirsi di 20 question, il questionario preparato da Google Drive, una sorta di stress-test con i venti interrogativi da porsi in caso di sospetto.
Sia come sia, concludono gli studiosi, pubblico ed addetti ai lavori dovrebbero sempre astenersi dal prestare fede a portali sconosciuti.
Basta poco, lo abbiamo appena visto, per intercettare le disinformazioni proposte nelle cronache sul conflitto ucraino, e non solo in quelle.
È una battaglia pacifica e silenziosa, che tutti possiamo vincere.
di Andreas Grandi
2 commenti
Peccato che l’articolo racconti mezze verità, portando due esempi guarda caso sulla Russia, unendosi al pensiero unico imposto da Washington, in questa “russiofobia” che in 24h ha propagato a livello planetario l’idea del nuovo nemico da combattere. A capo ovviamente dei buoni sotto le spoglie della NATO. Peccato doppiamente che senza volere l’autore abbia creato una fake news condita di fonti per combattere le bufale, che provengono in gran parte proprio dai creatori di bufale e censori, perché in possesso del monopolio dell’informazione. Invito a chi vuole approfondire il tema da un punto di vista più ampio, il favoloso libro dell’autrice Shoshana Zuboff “Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri “. È la polarizzazione il terreno di coltura più fertile per le fake news: gli argomenti più divisivi sono anche quelli più facilmente soggetti a distorsioni. Classico esempio la “pandemia” indotta con la tecnica della paura, e l’attuale guerra in Ucraina, dove assistiamo ad’una informazione non libera. Più fake di così caro autore dell’articolo non si può! Che poi vi siano strumenti per combattere il fenomeno d’accordo, in guerra poi diventa la fake un’arma stessa, ma ripeto sono mezze verità e quindi l’articolo è soggetto di contenuti di natura “fake news”. Saluti
Sembra che lei vada contro qualsiasi cosa a priori, infatti, non mi sorprende questo suo commento dopo i suoi pareri sulla pandemia. Lo sa che nei media russi non si parla di guerra? Lei cosa pensa? Le notizie sulla guerra sono fake news?