Lui fotografo, lei giornalista. Dalla Germania si sono traferiti in Umbria dove producono vini biologici: 15mila bottiglie all’anno, compresi tre tipi di rosato
La Tenuta Santa Croce, a due passi da Orvieto, in Umbria. Un ex monastero con annessa chiesa, poi divenuto fattoria. Quattro ettari sul margine di un altopiano che un signore tedesco, Anton Baur, ha trasformato in azienda biologica specializzata in vini. Doc, il Rosso Orvietano appunto, e rosati. “Vini santi” scherza lui ricordando l’origine del posto.
A differenza di molti stranieri che nel corso degli anni sono arrivati in Italia per investire in agricoltura Anton, o Antonio, come si presenta lui quando gli stringete la mano, non è un “vip” (a Monaco faceva il fotografo), non è un supermiliardario (l’azienda si è ingrandita piano piano su un terreno comprato nel 1985) e non è neanche il tipo che vive barricato nella sua proprietà. “Tra i miei sogni – confessa – c’è quello di organizzare una grande festa dopo la vendemmia con tanta gente e fare la pigiatura con i piedi come una volta”. “Poi certo – aggiunge sempre ironico – ognuno si porta a casa il vino che ha fatto”.
Con Anton c’è la compagna, Petra Regensburger, tedesca originaria di Ingolstadt. Di mestiere giornalista, Petra si occupa soprattutto della comunicazione. Inoltre, quando è il tempo della raccolta, come usava un tempo, prepara il pranzo per gli operai e gli amici nella grande cucina ricavata dove c’erano le vecchie stalle del monastero. La tenuta è nata con i rossi, i rosati invece sono una scommessa vinta. Ottimi come aperitivo, con gli antipasti, con un secondo di pesce oppure di carne bianca. Ne producono di tre tipi: il Rosato, il Dorato e la Rosvita. Che in Italiano suona come un romantico gioco di parole, mentre in Tedesco è un nome femminile di persona: Roswitta. Divertissement che Anton e Petra usano spesso per le loro etichette, prendendo spunto anche da situazioni concrete. Come per il vino “Papavero”, il fiore che spontaneo cresce tra i filari dei vigneti. Una scommessa, infine, anche quella di imbottigliare in magnum, una “confezione” riservata alle annate migliori. L’azienda, che quando l’anno lo permette ha una produzione media di quindicimila bottiglie, vende soprattutto all’estero. “Il settanta per cento in Germania – spiega Anton”. Nel loro piccolo aiutano a far conoscere il nome dell’Umbria oltre le Alpi, anche se, spiegano, “ancora oggi c’è chi la confonde con la Toscana”.
Il futuro dell’azienda è il suo presente: “Non pensiamo di ingrandirci perché puntiamo a vendere tutto quello che produciamo”. Passione per il vino e per l’Umbria, basso impatto ambientale e buon umore.
di Simone Lupino saperefood.it