Dare un senso ai periodi della storia è uno degli esercizi indispensabili per capire cosa potrà accadere nel futuro che ci aspetta. Bisogna scegliere con intelligente raziocinio gli eventi decisivi che separano fra loro le diverse epoche storiche. Non capiremmo il vero significato del travolgente cambiamento in atto se non riflettessimo a fondo sulle diversità dell’evoluzione umana nei diversi cicli storici.
Ne accennavo alcuni riflettendo sulla esperienza accumulata nel mio viaggio in estremo oriente, nei paesi affacciati sul golfo del turchino, il cui mare ricco di petrolio è al centro di una contesa tra i paesi emergenti, in testa il Vietnam oltre al colosso cinese. Già, il cambiamento. L’umanità, come affermava il vice ministro Pistelli, al convegno dei riformisti lombardi, ha impiegato 4 milioni di anni, il tempo che ci separa dalla scoperta di Lucy, il primo reperto di ominide, o ottomila anni per raggiungere, all’ inizio del 1900, la soglia di un miliardo della popolazione mondiale. Ha poi impiegato un attimo, aggiunge Pistelli, un battito di ciglia, un soffio della storia,110 anni per raggiungere i sette miliardi attraverso un’impressionante progressione( 2,5 miliardi nel 1950, tre miliardi nel 1960, 4 miliardi nel 1974, cinque miliardi nel 1987, più di sei miliardi nel 2000.) Cento quindici anni fa, oltre ad essere poveri, non sapevamo volare, non conoscevamo gli antibiotici, la radio, la televisione, meno che mai il nucleare o quello digitale.
110 anni fa il mondo era bianco, occidentale, cristiano e invincibile. L’orizzonte del nostro sguardo si muoveva dentro il perimetro di alcune importanti capitali, Parigi, Berlino, New York, Roma e poco altro. Il mondo di domani, se guardo alle immagini, lo vedo multicolore come è apparso con lucida preveggenza sui manifesti targati Benetton. Si affaccia davanti a noi una nuova umanità non più solo bianca, occidentale, cristiana . Roma, Berlino, New York, sono state raggiunte, per dirne alcune, da Pechino, San Paolo o Mumbai, il Cairo o Calcutta. Negli ultimi venticinque anni la globalizzazione ha trasformato il mondo. La tendenza in atto porta, inesorabilmente, da ovest verso est e in modo più graduale da nord verso sud.
In tale contesto il nostro sguardo va all’Europa, lo spicchio di mondo in cui siamo nati. L’Europa è cambiata, e molto, nel corso degli ultimi venticinque anni, al seguito dello smantellamento del blocco sovietico. Siamo passati da 12 a 28 membri, abbiamo rinegoziato cinque volte i trattati, assistiamo un po’ ovunque alla perdita della cultura dello stare assieme, plasticamente evidenziata dalla scarsa affluenza al voto per il rinnovo del parlamento europeo nel 2014.
Viviamo la profonda contraddizione tra la nostra declinante progressione demografica e la paura di apertura delle nostre porte. Ma pur scontando tutto ciò e nonostante l’emergere dei populismi ,la complessità dell’architettura istituzionale dell’Unione, la stagione opaca del suo fascino appannato, le incertezze sugli allargamenti futuri, o i pericoli di uscita al seguito di gravi e irrisolvibili, in breve periodo, crisi economiche e sociali nazionali, vedi la Grecia, l’Europa resta il cantiere democratico- istituzionale più avanzato del mondo contemporaneo e l’unico modello sino ad ora conosciuto, di integrazione regionale e continentale funzionante. Per esserlo veramente, l’Europa abbisognerebbe di classi dirigenti in grado di attuare atti coraggiosi sia sul piano culturale prima, che quello politico e organizzativo poi. Ovunque le competenze sono comunitarie il suo peso negoziale è maggiore.
Quando invece l’Europa si frammenta e divide, come è apparso in tutte le vicende che hanno negativamente contraddistinto il post rivoluzioni arabe, essa perde la sua funzione storica e morale nel contesto dei popoli e delle nazioni. Decisivo, dunque, proseguire l’impegno per addivenire a politiche comuni sul tema dell’energia e del suo approvvigionamento, sulla politica dell’immigrazione e della gestione delle nuove frontiere dell’Unione, su quelle della crescita e dello sviluppo, sulla politica di sicurezza e difesa. L’Europa potenza civile e di pace ha fatto enormi progressi. Una citazione spesso utilizzata per definire la situazione attuale dice che” noi non siamo il gigante dei nostri sogni né il nano delle nostre paure.” Siamo l’Italia e l’Europa, l’Unione in cui possiamo svolgere il nostro ruolo perché si realizzi l’unico vero sogno che conta: un mondo di tolleranza, di pace e progresso per tutti.