Ormai è cosa certa: non c’è giorno che passi senza che le cronache ci informino di un nuovo femminicidio, se va bene, altrimenti anche di più. Questa settimana ricorre il 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999. Una giornata che ci invita a non abbassare mai la guardia di fronte un fenomeno che sembra ormai dilagare senza nessun freno. Abbiamo un bilancio annuale davvero sconcertante, secondo un rapporto redatto del Ministero dell’Interno, nel periodo 1° gennaio – 14 novembre 2021 in Italia sono state registrate 103 vittime donne, di cui 87 uccise in ambito familiare/affettivo e, di queste, 60 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. Solo la scorsa settimana, in Italia, ci sono state tre vittime di femminicidio accertato, alcune avevano già denunciato quello che poi si è rivelato essere il proprio assassino. Una di queste era Juana Cecilia Hazana Loayza, una peruviana che viveva a Reggio Emilia e che è stata uccisa dal suo ex che aveva denunciato per stalking. L’uomo il 4 novembre era stato condannato alla ridicola pena di due anni, ma con la sospensione condizionale della pena emessa dai giudici è stato lasciato libero di uccidere a coltellate la sua ex il 20 novembre scorso. Lui si chiama Mirko Genco, ma non ha fatto nulla di così eccezionale, perché purtroppo è quello che sta avvenendo quasi all’ordine del giorno. E la colpa non è in questo caso solo dell’assassino, ma anche di chi ha permesso che accadesse, chi non ha tutelato la donna che ha preventivamente chiesto aiuto e denunciato, chi non ha saputo valutare la reale gravità del caso.
È il momento di dare le colpe, non c’è più posto per la comprensione e per lo studio delle casistiche perché in Italia, per esempio, muore una donna ogni tre giorni per femminicidio. Adesso non si tratta più di singoli casi o di sfortunate coincidenze: che sia morta Juana Cecilia Hazana Loayza non è stato un caso, una fatalità, ma è stato un omicidio annunciato e denunciato ancor prima che accadesse e quello che è stato fatto per aiutarla è pari a nulla, anzi con la sospensione condizionale della pena si è anche agevolato l’assassino. Una giustizia che fa letteralmente pena perché non garantisce le giuste pene!
Questo è quanto accade in Italia, in Svizzera, purtroppo, le cose non vanno meglio. Ci affidiamo al sito Stop Femizid (www.stopfemizid.ch) per scoprire il bilancio di quest’anno in Svizzera – non esistono liste ufficiali che parlano di “femminicidio” – che è costituito da 25 femminicidi accertati e 9 tentati femminicidi dall’inizio dell’anno. Solo nel mese di ottobre sono morte 4 donne tra cui una 12enne per mano del padre, e sono numeri che spaventano e demoralizzano le donne che subiscono violenza o stalking perché vedono il triste epilogo della loro vita in quelle spezzate di queste donne, senza che nessuno le abbia protette nel modo giusto. Non incoraggiano le parole della consigliera federale Karin Keller Sutter, intervenuta alla conferenza nazionale sulla violenza svolta a inizio di questo mese, quando spiega che “con la sola legge non si possono evitare i reati e la violenza. Servono miglioramenti nella collaborazione tra le autorità, nel riconoscimento tempestivo della minaccia e nella gestione della stessa minaccia. Alcuni cantoni sono all’avanguardia. Non si può comunque evitare ogni singolo caso, anche se occorre sempre fare il possibile per cercare di farlo”. Ancora si parla si singoli casi, quando invece si tratta di un fenomeno che anche in Svizzera, come in Italia, in Europa e purtroppo in tutto il mondo, sta prendendo il sopravvento. Ci vorrebbe la certezza di una pena esemplare, invece in alcuni cantoni, come per esempio a Zurigo, viene data la possibilità di sospendere il procedimento contro gli autori di violenza che si impegnano in un programma di prevenzione.
L’unica certezza che resta, dunque, è che una donna ogni tre giorni muore ammazzata e non si tratta più di un caso.
Redazione La Pagina