Occhi puntati sulle elezioni amministrative del 6-7 maggio, ma i risultati saranno solo indicativi per le future decisioni politiche
Occhi puntati sulle elezioni amministrative del 6 maggio: si vota in oltre un migliaio di Comuni per un totale di circa 9 milioni di cittadini. I partiti si sono presentati con alleanze variabili, cioè con un nucleo di Comuni dove ogni partito si presenta da solo e altri Comuni in alcuni dei quali lo stesso partito si presenta con determinati alleati e in altri Comuni con alleati diversi. Il Pdl si presenta in genere da solo, e in qualche città con Lega e Udc o con l’Udc; il Pd lo stesso, ma a volte con il Sel, altre con l’Idv, altre ancora con Sel e Idv e infine anche da solo con l’Udc e in un caso, Agrigento, con il Terzo polo senza l’Udc. La Lega si presenta anch’essa da sola in tutte le città, tranne a Gorizia con il Pdl. L’Udc, come si può arguire dai dati citati, si presenta in 17 città da sola e in altre o con il Pd o con il Pdl (Verona, Palermo, Isernia).
Con il rimescolamento delle carte in seguito al governo tecnico di Mario Monti e con tre partiti che prima si combattevano, come il Pdl, l’Udc e il Pd, i partiti sono entrati in una zona oscura. Il Pdl era alleato con la Lega, ma ora l’alleanza si è rotta, soprattutto per le diverse scelte fatte: il Pdl a sostegno di Monti, la Lega all’opposizione. Il Pd anche appoggia Monti, mentre i suoi due alleati di sinistra, l’Idv e il Sel, sono all’opposizione. L’Udc era all’opposizione con Berlusconi premier, ora col Pdl sostiene Monti, per cui, anche se è quasi certo che andrà alle elezioni politiche da sola (con la veste di un nuovo contenitore che mira a raggruppare i moderati) mantiene un rapporto di confronto e di aspra competitività con il Pdl stesso e strizza l’occhio al Pd per alzare il prezzo o per cercare una sponda. E’ chiaro, in queste condizioni, che il 6-7 maggio i risultati saranno finalizzati non tanto a contare vinti e vincitori, ma ad aggiustare il tiro in vista delle politiche. Il mese di maggio sarà decisivo per prendere determinate decisioni che influiranno politicamente nei prossimi anni. Napolitano ha già fatto sapere che non ci saranno elezioni anticipate in autunno, ma che la legislatura terminerà alla sua scadenza naturale, nel mese di maggio del 2013, esattamente fra un anno. Quindi i partiti, più che pensare ad organizzare la campagna elettorale – questo è il messaggio chiaro del Capo dello Stato – pensino ad approvare le riforme che dovranno fare da cornice all’Italia dei prossimi anni. Una di queste riforme sarà quella elettorale. Alla fine del mese sarà presentata una bozza d’intesa tra le forze politiche. Per alcuni si tratta di una riforma peggiorativa (Prodi), perché di fatto si ritorna alla prima Repubblica; per altri è un passo in avanti, perché sgonfia il clima di scontro che si è verificato negli ultimi quindici anni.
Cosa prevede la nuova bozza? Intanto, il sistema di voto è un mix tra quello spagnolo e quello tedesco e si basa sulla competizione tra i partiti e non più tra le coalizioni. La competizione tra le coalizioni ha un torto: quello di aggregare forze politiche diverse solo per vincere le elezioni, poi, ognuna tende ad andare per la sua strada mandando a rotoli la coalizione e soprattutto la carica rinnovatrice proclamata in campagna elettorale. A ben guardare, questo aspetto negativo avrebbe potuto essere facilmente corretto, introducendo, ad esempio, sia una soglia di sbarramento più elevata per accedere al Parlamento, sia una clausola di dissuasione. In Italia, invece, prima si fanno cattive leggi e poi le si attribuiscono difetti. La competizione tra i partiti che si vuole introdurre significa che ogni partito esprime un candidato premier e sarà nominato colui il cui partito avrà ottenuto il maggior numero di voti. Toccherà al nuovo premier designato cercare una maggioranza compatibile in Parlamento. Ognuno può facilmente immaginare che, pur cambiando il sistema di voto, si ritorna alla prima Repubblica, quando le maggioranze si facevano e disfacevano e i governi duravano mediamente un anno. Già, perché ora si accusa la legge attuale di permettere di eleggere deputati e senatori designati non dal popolo ma dalle segreterie dei partiti, ma dopo avverrà la stessa cosa, perché il popolo non avrà nemmeno la capacità di scegliere la coalizione che li dovrà guidare. Con la competizione tra i partiti, saranno questi ultimi a fare e a disfare le maggioranze. Insomma, abbiamo l’impressione che per un diritto formale negato (la famosa preferenza), il popolo dovrà affidarsi ai maneggioni che decideranno tutto loro. Tornando ai contenuti della bozza d’intesa della nuova legge elettorale, i parlamentari sarebbero eletti per metà nei collegi uninominali e per metà in liste bloccate (ahi, ahi, ma non era antidemocratico?), con una soglia di esclusione del 5% e recupero dei resti nelle circoscrizioni. I partiti avrebbero l’obbligo di indicare il candidato premier: il partito che otterrà più voti, avrebbe un piccolo premio del 5% (le proposte vanno dal 2 al 6%). L’impressione è che anche questa futura legge elettorale avrà vita breve: potrebbe essere fatta solo per favorire alle prossime elezioni politiche una maggioranza di unità nazionale come quella a cui stiamo assistendo. La crisi economica, si sa, durerà per molti anni ancora e nessuno potrà permettersi di ricreare il clima di odio diffuso a piene mani durante la seconda Repubblica.