La festa del 25 Aprile anche quest’anno ha fatto registrare momenti di scontri in cui da una parte facinorosi di sinistra hanno contestato Polverini e Zingaretti a Roma e Moratti e Podestà a Milano, dall’altra nostalgici di destra hanno fatto il loro raduno in camicia nera a Giulino di Mezzegra.
Sicuramente sono stati tanti gli altri episodi locali in cui il 25 Aprile è stato l’occasione di settarismi e di odi, però il fatto nuovo è che le istituzioni, dal presidente della Repubblica a quello del Consiglio, da quello del Senato a quello della Camera, hanno impresso una svolta senza pari nel senso della pacificazione nazionale. Non che negli anni scorsi le istituzioni fossero venute meno: le voci super partes ci sono sempre state, ma in genere sono state soffocate. Quest’anno, invece, c’è unanimità di vedute e di messaggi e questo clima nuovo fa la differenza.
A Milano il presidente della Repubblica ha fatto un discorso esplicito. “Il significato della Resistenza”, ha detto, “va declinato in termini non restrittivi e settari, non condizionati da esclusivismi faziosi”. Il 25 Aprile, insomma, non è la festa di una sola parte politica che si è nei decenni appropriata dell’evento, ma è “la festa della Liberazione e della riunificazione dell’Italia”.
L’accenno alla Costituzione da parte di Napolitano non è stato retorico, ma storico, nel senso che, richiamandosi proprio alla Carta, ha parlato di “unità nazionale che non contrasta, ma si consolida e arricchisce con il pieno riconoscimento e la concreta promozione delle autonomie, quelle autonomie regionali e locali di cui si sta rinnovando ed accrescendo il ruolo secondo un’ispirazione federalista”.
Alla Lega che ha posto per prima e con forza il federalismo, il presidente della Repubblica ha dato un riconoscimento quando il federalismo si coniuga con l’unità nazionale, ma nello stesso tempo ha messo in guardia contro le “battute sgangherate” su secessioni ed altre amenità simili, più verbali che altro.
Anche il video messaggio del presidente del Consiglio va nella stessa direzione. Già il presidente Napolitano ha ricordato un passo del discorso del presidente del Consiglio tenuto l’anno scorso ad Onna, nell’Abruzzo provato dal terremoto. In quell’occasione il premier aveva detto: “Il nostro Paese ha un debito inestinguibile verso quei tanti giovani che sacrificarono la vita per riscattare l’onore della Patria”.
Ora, sull’onda proprio del messaggio di Napolitano, anche Berlusconi parla di “sentimento nazionale unitario”, facendo un esplicito accenno ai “nostri padri costituenti che seppero accantonare le differenze politiche più profonde” per arrivare alla Costituzione. Per dire, poi, che “la nostra missione è andare oltre quel compromesso” e completare l’opera di ammodernamento dello Stato, da compiere “insieme a quelle forze politiche che come fecero i nostri padri costituenti non rifiutano a priori il dialogo e (…) si preoccupano per l’avvenire delle nuove generazioni e che lavorano per il benessere di tutti gli italiani”.
Dopo la tempesta dei giorni scorsi, sembra nato davvero un nuovo clima, al quale forse la fermezza della polemica di Fini non è estranea. Si tratta ora solo di vedere se all’apertura politica corrisponderanno, dall’una e dall’altra parte, anche atti e provvedimenti coerenti.