Dodici mesi di guerra, che vuol dire dodici mesi di orrori, tragedie, incredulità e speranze, purtroppo, spezzate. Questo anno di guerra in Medio Oriente è stato solo un crescendo di violenza inaudita, mentre le aspettative di una pace diplomatica, ma anche di tregue risolutrici sono andate scemando.
È dunque trascorso un anno da quell’alba di Reim, quando increduli assistevamo a distanza all’attacco al festival musicale Nova, dove circa 3 mila combattenti di Hassan hanno fatto incursione ad Israele, nel confine con la striscia di Gaza, e hanno dato inizio ad un massacro che solo quel giorno ha portato alla morte di circa 1.200 uomini e donne, anziani e bambini, ma che dopo un anno sono diventati più di 42.000 morti accertati. C’è una differenza notevole in termini di vittime tra Israeliani e Palestinesi, ma non la faremo perché si tratta sempre di individui di tutte le età che sono morti indistintamente a causa di una guerra crudele. Un morto israeliano non vale più di uno palestinese e viceversa, un uomo morto sotto l’insensatezza di una guerra è sempre una crepa irreparabile nel già instabile regno dell’umanità che, non possiamo che constatare, ormai sembra essere giunta al tramonto.
“Occorre una definitiva soluzione negoziata tra Israele e Palestina che, con il concorso della comunità internazionale, preveda la creazione di due Stati sovrani e indipendenti. Ciò è indispensabile per garantire pace e sicurezza durevoli ai due popoli e all’intera regione, e per evitare che l’ostilità, l’avversione e il risentimento accumulatisi in questi mesi producano in tutto il Medio Oriente nuove e sempre più drammatiche esplosioni di violenza. È una responsabilità che, se compete, in primo luogo, a israeliani e palestinesi, deve vedere attivi tutti i popoli amanti della pace, affinché l’orrore del passato non si ripeta”. Sono le parole di Sergio Mattarella nel suo ricordo della strage del 7 ottobre. Il bisogno di pace deve essere condiviso e ricercato da tutti, sia in Medio Oriente, dove giornalmente vivono gli orrori della guerra, che in tutto il resto del mondo dove gridano a gran voce la pace ma – come si può vedere dagli scontri durante la manifestazione pro Palestina di sabato scorso a Roma – ogni iniziativa che inneggia alla fine della guerra diventa il pretesto per violenza e risse.
Oggi si commemora, ma ci chiediamo se è già tempo della commemorazione. Solitamente la commemorazione giunge al termine dell’azione che ha generato ciò che si vuole celebrare, ma dal 7 ottobre in poi non c’è giorno in Medio Oriente che non dovrebbe essere commemorato, perché dall’attacco al rave di Reim è stato un susseguirsi di attacchi all’umanità. Se si vuole commemorare le vittime di questa guerra, bisogna prima fare la pace.
Redazione La Pagina