La scelta del premier di schierarsi a favore di Udc-Fli e Italia Futura potrebbe creare qualche problema a Berlusconi e a Bersani
Dunque, Mario Monti ha accettato di “salire” in politica e si è schierato, scegliendo l’Udc di Casini, Fli di Fini e Italia Futura di Montezemolo, che comunque fonda un movimento e non si candida. Prima di Natale Berlusconi al vertice del Ppe gli aveva chiesto la disponibilità a federare l’area dei moderati in cambio di un suo passo indietro. Monti non gli ha mai risposto, ma la sua scelta è stata eloquente: scegliendo solo l’Udc, Fli e Italia Futura ha dimostrato che era contro la persona di Berlusconi e contro il Pdl preso in toto. Questa scelta ha motivato Berlusconi stesso a riprendere in mano la guida del Pdl e della coalizione di centrodestra (con o senza la Lega) e ad aprire il fuoco della polemica proprio contro Monti e i suoi alleati, quel Casini e quel Fini che negli anni scorsi erano suoi amici e sostenitori.
Anche se l’obiettivo del Cavaliere in queste elezioni è di ottenere un risultato che garantisca una consistenza parlamentare del Pdl per preparare il rilancio per le elezioni fra cinque anni (sa che adesso non potrà mai vincere), i punti su cui farà campagna elettorale sono ben precisi: non è vero che quando c’era lui a Palazzo Chigi l’Italia era sull’orlo del baratro; è vero invece che ora si sta molto peggio in termini di tasse maggiorate, di disoccupazione, di recessione, d’inflazione; dare il voto al Pdl o al Pd ma mai a chi ha prodotto più tasse,più recessione e più disoccupazione. Insomma, vuole rilanciare il bipolarismo.
Monti al Senato si presenta con una lista civica per Monti presidente del Consiglio, alla Camera l’Udc, Fli e Italia Futura si presenteranno con propri simboli ma uniti in coalizione con l’indicazione di Monti premier. Negli ultimi giorni ha capito l’intento di Berlusconi (bipolarizzare la campagna elettorale) di renderlo il terzo incomodo inutile ed ha cominciato ad alzare i toni contro Berlusconi e il Pdl, mettendo l’accento sul fatto che con Berlusconi si era sull’orlo del baratro finanziario e della poca credibilità internazionale.
I risultati elettorali diranno quale delle rispettive strategie saranno state vincenti. Per ora il Pdl di Berlusconi è dato in ripresa al 19-20%, il centro al 14-15%. Quali sono le prospettive tra le due coalizioni? Monti può contare solo sulla sua capacità di entusiasmare gl’italiani, non potrà certo contare sulla forza dei due partiti che lo appoggiano (Udc e Fli) e sul movimento di Montezemolo (Italia Futura). I primi due non vanno oltre il 5-6% (Udc: 4% e Fli 1%), mentre non è noto il valore di Italia Futura ma presumibilmente non andrà oltre il 2-3%. Come ci si può entusiasmare per Montezemolo, per uno che non ha carisma e quando parla dimostra di non credere a quello che dice? Dunque, monti dovrà fare tutto da sé. L’esordio non è eccezionale. Sta venendo fuori un personaggio che ritiene di essere l’unico salvatore della patria, saccente e anche un falso modesto, ma forse a frenarlo è il fatto che gl’italiani non ne possono più di essere dissanguati dai continui aumenti. Per Monti, però, c’è una speranza: che frange del Pdl e del Pd facciano il salto verso di lui e gli portino voti che aumentino la sua percentuale e diminuiscano quelle del Pd e del Pdl.
Monti può farcela ad avvicinarsi al Pdl, a condizione che Berlusconi e Maroni non riescano a fare un accordo o che l’accordo non funzioni, ma non può certamente frenare la corsa del Pd alla vittoria. Non c’è solo Berlusconi a tacciare Monti di aver abdicato al ruolo di super partes, c’è anche Bersani (e D’Alema) che dicono in sostanza che Monti, schierandosi, ha tradito la parola data a Napolitano e di aver approfittato del suo ruolo di tecnico equidistante per entrare in politica contro chi l’aveva sostenuto.
Bersani teme che Monti si rafforzi al punto da mettere in questione la vittoria del Pd (difficile, però, che ciò accada) e soprattutto l’incarico di premier a Bersani medesimo. Teme, insomma, che al Senato la sua vittoria sia monca e che Monti rivendichi la presidenza del Consiglio come condizione per un’alleanza, senza la quale il governo potrebbe non contare su una maggioranza solida nei due rami del Parlamento.
Ecco dunque che Bersani incalza Monti a non tirare troppo la corda quando accusa il Pd di avere ricette conservatrici e di voler cancellare punti importanti delle riforme fatte da lui nell’ultimo anno.
Bersani teme contemporaneamente anche che le liste Ingroia-Di Pietro possano portare un certo numero di voti, in modo tale che possa diminuire la sua capacità di egemonia all’interno di quella che si profila un’alleanza di centro-sinistra dopo le elezioni, con un centro più forte di quello a cui poteva aspirare Casini da solo e che, specialmente su temi etici, è in grado di creare problemi all’asse Bersani-Vendola.
In fondo, come Berlusconi sa che non potrà mai vincere, ma che lotta per far vivere il centrodestra, anche Monti sa – a giudicare dai sondaggi che lo danno, appunto, al 15% – che con questa percentuale non potrà aspirare ad essere presidente del Consiglio. Bersani, sicuramente, non lo permetterà. Finora il Pd (nella sua versione precedente Ds e ancor prima Pds) mai ha guidato il governo con le sue sole forze. Tanto è vero che ha dovuto far ricorso per ben due volte e Prodi. D’Alema, nel 1998, fu il primo ex comunista a guidare un esecutivo in Italia, ma fu solo per il passaggio di Mastella alla sinistra, non per elezioni. Bersani, ora, ha questa possibilità. C’è da notare, infine, che nel Pd – e lo si vede nella formazione delle candidature – la parte moderata e riformista di Renzi è stata soffocata a favore della sinistra, il che vuol dire che parte dell’ala moderata e/o cattolica potrebbe guardare più a Monti che a Bersani stesso.
Come si vede, nel dibattito politico più che i programmi dominano le polemiche elettorali e la ricerca delle alleanze e il loro posizionamento, ma questa non è una novità nella politica italiana.